ARCHIVE - food
Sperimentare per il possibile riutilizzo delle mascherine, l'attività del microonde

Nello scrivere questa nota ho dovuto far ricorso ad ogni mezzo di prevenzione per invettive, insulti o rivalse mentali che l’espressione di un parere spesso provoca in questo Paese.
Inizio quindi con le premesse, come si usa fare in un Paese dove non sempre si va al dunque immediatamente, ma solo dopo aver ricevuto il benestare/bollino/marchio CE.
Premessa
Da anni trascorsi in verifiche di trattamenti industriali sul campo e nella preparazione di protocolli di verifiche analitiche, svolte sia per finalità didattica che applicativa, e sul cui “metodo” nulla v’è stato mai da obiettare in quanto tutto derivato dal buon senso di Décartes, sono giunto alla conclusione che “provare e riprovare” non è ancora messaggio da archiviare. Ciò non può offendere alcuno, laddove credo che incitare a darsi da fare non è di per sé e non può costituire messaggio da castigare.
Le molte esperienze condotte dallo scrivente sulle applicazioni labo e industriali delle microonde hanno più volte dimostrato che l’attività di questo tipo di onde elettromagnetiche è estremamente differenziabile se parametrata allo scopo ben definito cui l’applicazione si tende che miri.
Solo per non trascurare di voler introdurre il lettore comune al problema in questione, si sappia che da anni la letteratura internazionale ha ribadito il concetto dell’efficienza degradativa delle microonde nei riguardi di alcuni sistemi alimentari in parallelo al giusto effetto utile dimostrabile in varie applicazioni industriali. Dimostrare ciò non è finalità di questo scritto, visto che non si vuole né rivendicare paternità di pensiero né di null’altro, ma soltanto “sollecitare” alle sperimentazione.
Proposta
L’occasione che si presenta è quella attuale della carenza di “mascherine”, sul qual tema mi si permetta di dire esista una confusione di idee e di progetti ricondicibili a lucubrazioni su riconversione di aziende per la produzione, opportunità di accaparramento da parte di attori politicamente più o meno capaci, comportamenti strani di fornitori esteri e chi più ne ha più ne metta.
Manca, evidentemente, una centralizzazione della gestione e sarebbe opportuno ci si rendesse conto di quanto segue:
1) Necessità di pensare a rendere autonoma la produzione nel Paese, attraverso anche il consorziamento di vari capaci produttori, ed unificando processi e materiali. Questa non è autarchia, è investimento ragionato, cui non si pensa ancora di giungere. Il processo industriale, una volta definiti i materiali, non è cosa che ingegneristicamente fa paura ad alcuno. Invece che stare a pietire verso il mondo, in sostanza, precettiamo alcune industrie di buona disponibilità e creiamo un consorzio autonomo di produzione a controllo nazionale.
2) Necessità di far partire una sperimentazione atta a verificare quale possa essere l’effetto debellante delle microonde su quello stupido virus, in modo da rendere possibile il recupero e riutilizzo ragionato delle mascherine, con un protocollo operativo da far adottare anche in famiglia o da far adottare a centri destinati allo scopo. Non si riesce ancora a identificare, nelle parole di chi parla di “carenza”, il minimo pensiero rivolto al “recupero possibile” in perfetta efficienza. Occorrerebbe che qualcuno che sbandiera numeri a caso sugli incentivi alle famiglie, dimostrasse di saper fare un semplice conto economico sull’opportunità dei “recuperi” delle mascherine, specie se affidabili a centri privati organizzati allo scopo, sia gestibili a livello familiare.
A prescindere dalle levate di scudi di chi, in onore del “si fa prima” o “si fa meglio” parlerà di ingestibilità della proposta, mi piacerebbe vedere quale gestore della nostra vita possa opporsi all'idea di far realizzare un conto economico che comprenda il costo di sperimentazione e i vantaggi di riutilizzo corrispondenti al progetto di recupero delle mascherine, una volta resa accurata l’informazione su quali sono i materiali atti a subire trattamento di bonifica. Ma visto che si dice dover subire questa sciagura per tempi lunghi, si pensi anche alla possibile cetralizzazione della produzione piuttosto che a far volare droni.
L’enfatico contenuto di questa nota termina con un suggerimento del protocollo da far seguire per la sperimentazione:
a) In laboratorio adeguato, capace e protetto dalle provvidenze di rito, far eseguire esperienze (bastano poco più di 50 test) che verifichino il tasso di letalità del virus per trattamento a 300 - 600 vatt e 2,45 GHz in condizioni di inquinamento indotto su tessuto standard non deteriorabile in ambiente umido (vapore),
b) Nello stesso laboratorio di cui sopra far eseguire la verifica di assenza di virus in mascherine utilizzate in ospedale (bastano poco più di 50 test) in modo random, adottando le condizioni identificate in a) come risultanti più adeguate.
c) Eseguire la stessa sperimentazione su mascherine inquinate in modo guidato.
d) Eseguire uno studio di compatibilità dei materiali al trattamento a microonde.
Questa nota è destinata a quanti, di buona volontà, credono nella sperimentazione come fonte di idee, realizzabili o non realizzabili che siano.
Il giudizio di significatività di ogni sperimentazione in tal senso resta naturalmente affidato all'autorità costituita in materia, sulla base di risultati documentati e certificati da laboratorio adeguato e naturalmente resi di pubblico dominio.
Aspetto una risposta.......documentata per favore. Grazie, disponibile a collaborazione.
Prof.Fernando Tateo
Ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari (UniMi)
348.7155835
fernando.tateo@unimi.it

Il mio Rettore Enrico Decleva è andato in cielo

Enrico Decleva mi han detto che non c'è più
Lo ricorderò per tutta la vita: andavo da lui, mi riceveva sempre e facendomi accomodare di fronte a lui, incrociando le dita delle due mani mi diceva:
Alla fine dell'incontro, mi diceva sistematicamente: "vedo cosa posso fare!......Ciao, fatti sentire"
Da letterato vero, per lui ogni problema era risolvibile. Se gli parlavi di attività di cui non sapeva, diceva "spiegami........." e capiva davvero.
Era nemico di chi faceva chiacchiere, diceva che le chiacchhiere non fanno storia......
ADDIO Enrico! ricordati di tutti noi che ti abbiamo voluto bene!
Fernando Tateo
un tuo ordinario

Difficile attribuire responsabilità a chicchessia, sa solo Dio chi è stato.

Ritengo, con profonda umiltà, che la colpa è di tutti, nessuno escluso.
E' il momento in cui gli oppositori della globalizzazione sembra abbiano ragione; abbiamo allargato troppo i confini? Forse sì!
Una certa responsabilità cade inevitabilmente su chi crede che sul mondo si possa far tutto, anche annullare i confini.
La risposta l'abbiamo forse ricevuta: la terra ha dei confini, forse li ha anche l'universo che crediamo infinito.
Intanto ricorriamo ai confini regionali per evitare il diffondersi di un virus: è l'ammissione involontaria della utilità dei confini.
La mia casa ha confini, il ristorante è confinato anch'esso pur se riceve tutti, le proprietà agricole hanno confini, i confini sono il mezzo di protezione della propria identità, i confini li eliminerà solo Dio quando lui vorrà, è inutile che li si abolisca noi.
Abbiamo solo precorso i tempi....l'onnipotenza dell'uomo ha condotto a credere possibile l'eliminazione del concetto di "confine" che si modifica nel tempo ma sussiste ancora.
I numeri reali? Gli insiemi? Sono anch'essi dei confini...gli integrali? sono dei confini anch'essi.
Per me, che si tratti di coronavirus o di lezione impartitaci dall'alto, non v'è differenza. L'importante è imparare, ma l'uomo impara solo a migliorare i confini delle scienze, ma con ciò fa soltanto cultura e non annulla il significato del confine, che forse è l'essenza della vita, e non l'abbiamo forse capito ancora.
L'unica colpa sta, io credo, nella nostra sbandierata onnipotenza, che poi si concretizza nella definizione di zone rosse e turchine o gialle. Non ci si rende conto che l'invenzione dei confini è nell'uomo, è la sua più spontanea difesa.
Quando un mio familiare ereditò un pezzo di terreno agricolo e mi chiese cosa dovesse farne per attribuire ad esso un valore, gli suggerii di costruire un muro di cinta, non troppo alto perchè si potesse gardarvi dentro da parte di tutti...un muretto a secco da terrone come me. Quei muretti non impediscono di fatto l'ingresso ma sono un segno della esistenza di una diversità: quello è mio e lo gestisco io, quello è tuo e ne fai quel che vuoi. Se il vicino crede di dover raccogliere le mie mandorle, è sufficiente che superi un muretto....poi torna al suo terreno, senza persecuzione alcuna.
Da bambino ero proprietario ideale di un gallo bianco con cresta rossa: cresceva con alcune galline, in una "recinzione" attigua alla mia casa. Per me, era il simbolo del "bari", la squadra del mio cuore. Un giorno non lo vidi più.....fu un dolore immenso che porto ancora marcato a fuoco nell'anima. Quando espressi alla mia mamma il mio sentimento di rabbia, lei mi disse pacata che aveva sentito la nostra vicina di casa lamentarsi più volte di non avere modo di comperare mai della carne, non ne aveva la possibilità. La mamma non mi disse altro se non "Peccato, avrei potuto con il tuo permesso, regalare quel gallo alla vicina, prima che ce lo sottraessero....avrei fatto un'opera buona."
Non vi fu accenno all'operazione di appropriazione indebita, mi aveva insegnato che il confine si travalica ma che il recinto restava sempre lì.
Scusatemi, credo alla cooperazione universale, ma con il rispetto dei confini: basta un muretto a secco, fatto di pietre una sull'altra, non molto alto ma sufficiente perchè le abitudini non si mescolino.
Fernando Gabriele Giorgio Tateo
fernando.tateo@unimi.it
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Contro le competenze, si preferisce l'improvvisazione.

Coloro che usano il potere per dar giudizio su qualsiasi argomento finiscono per parlare, anzi per sentenziare, senza che si possa loro opporre il frutto della ragione e della formazione, che insieme producono quella che si chiama "competenza". Tra l'altro, la posizione di presunzione del sapere deriva sistematicamente da chi mira al livellamento in basso del sapere impartito attraverso i corsi di studio.
Vedasi quanto ha prodotto la politica negli ultimi 30 anni in tema di "semplificazione" proprio degli iter di studio, con la copertura del principio "detto sociale" della "scuola dell'obbligo", introdotto oltretutto a sproposito, cioè con significato distorto: intanto non è credibile che si possa allargare il numero degli utenti della cultura semplificando i contenuti o gli anni di studio.......
Senza un criterio di vera selezione, non si fa altro che creare diplomi e titoli ancor superiori, livellando sul basso la qualità del sapere ed illudendo i giovani in tema di possibilità di posizionamento sul mercato del lavoro.
La realtà è che oggi si è portati al credere che tutti possano sentenziare anche in tema di alimentazione e qualcuno è riuscito a trovare addirittura un nesso fra tassare gli zuccheri e salvaguardare la salute. E' come credere che il gioco del poker possa esser limitato imponendo che le poste in gioco siano incrementate per obbligo di chi ospita i " malavvezzi alla tutela dei propri beni".
Ma bello è sentire sentenziare sulle tasse etiche, c'è da sbellicarsi dalle risate: chiunque accede a studi televisivi per meriti distinti impara e propina la lieta novella della tutela del consumatiore.
Per propinare una tassa, occorre che chi parlamenta trovi giustificazioni più credibili e che chi argomenta su tasse etiche sappia veramente identificare quali siano i veri danni in alimentazione. E per intervenire in merito a problemi nutrizionali, basta che si intenda che necessario è solo studiare e non accedere ad informazioni romanzate come quelle che la stampa di un certo tipo è costretta a propinare per tirar su le vendite degli stampati.
Ma è facile intuire che il danno di una tassa "etica" come quella sugli zuccheri non produce effetti positivi se non sulle casse dello Stato: sta bene e così sia, non ci fa paura anche perchè anche uno stato borbonico a suo tempo abbiamo imparato a subirlo e a vantarne anche i pregi, ma si sia almeno in grado di parlare di necessità di cassa e non si lasci parlare di alimentazione un letterato o un avvocato o un giurista o un economista, anche si dovesse trattare di un docente universitario cooptato o prestato che sia alla politica.
Un parere del tutto personale è lecito a questo proposito esporlo: chi sceglie la carriera universitaria deve avere nell'intimo qualcosa di superiore alla voglia di potere che possa guidare la sua vita, ed è bene che faccia il suo mestiere senza voler insegnare tutto a tutti. E' già così difficile insegnare bene agli studenti.....! Si lasci la politica a chi sente di esser nato per gestirla....è un'altra cosa. Il professore universitario è bene sì che sia interpellato dal politico per esporre pareri, possibilmente non di parte, e che siano frutto di alta competenza specifica nella materia di studio per la quale il docente opera in didattica.
PER GIUSTO ESEMPIO, PRIMA DI GIUSTIFICARE UNA TASSA CON LA LOTTA "ETICA" AGLI ZUCCHERI, IL POLITICO E' BENE CHE ACCEDA AL PARERE DI CHI E' NEL DIRITTO DI COMPETENZA PER SENTENZIARE SUL POSSIBILE SIGNIFICATO NUTRIZIONALE DELL'INTERVENTO..........
Perchè non si fa operazione etica salutistica penalizzando realmente chi adotta fitofarmaci su materie prime alimentari in modo sconsiderato? Perchè non si interviene amministrativamente su chi sofistica miele, conserve o altre derrate? Sanno i politici quanto sian tuttora ridicole le sanzioni pecuniarie comminate per inottemperanza a norme e leggi sulla produzione degli alimenti? Sanno i politici a che numero siano ridotti oggi i laboratori di controllo di stato sugli alimenti?
Prof.Fernando Tateo
Ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari

Sui ”grassi a ridotto contenuto calorico”

Sul sito web di "Ars - Edizioni informatiche", nella rubrica "Scienza, mercato, opinioni" è stata pubblicata una news sul tema dei trigliceridi di sintesi introdotti da anni come "novel food" in Europa e presenti spesso in alimenti e nutraceutici come veicolanti di aromi, di coloranti e di vitamine. Occorrerebbe modificarne più correttamente la classificazione in "additivi".
Il testo è a nome di Fernando Tateo e Moica Bononi (Università degli Studi di Milano), che criticano la banalità dell'idea di utilizzare l'interesterificazione come reazione attraverso la quale di producono "novel food" che sono poi grassi di sintesi ed a utilizzare gli stessi in alimentazione. Fra i regali dell'unione v'è quindi anche l'introduzione in alimentazione di grassi dichiarati possedere potere calorico pari a 6 invece che 9. Mamma che risparmio!
A questo punto varrebbe la pena di permetterne l'uso in addizione all'olio extra vergine di oliva, che ne pensate? Maltrattato per maltrattato......
Ah già, dimenticavo....all'olio extra vergine di oliva non è consentito addizionare grassi di sintesi.....

Un convegno sulla ”birra artigianale”

Negli ultimi anni si è diffuso, con inimmaginabile interesse del mercato, il consumo di birre a marchio fino ad oggi pressochè sconosciuto e il consumatore sembra interessato a "nuovo differenziato impatto sensoriale": ciò in contrapposizione a quanto è stato oggetto di attenzione da parte del produttore di birra, mirato al caratterizzazre da sempre la oropria produzione in modo deciso.
L'avvento di nuovi impatti sensoriali nelle birre dette "artigianali" è stato prodotto attravreso innovazioni sia nella tecnologia di produzione sia attraverso impiego di materie prime non tradizionalmente destinate alla produzione dei mosti: in tal senso l'inventiva ha giocato un ruolo inpensabile.
Occorre tener conto di una considerazione di fondo: l'impatto sensoriale di una birra può essere molto differenziato anche dalla modifica di parametri di produzione (es- dalle condizioni di produzione del malto dall'orzo oltre che dalla qualità dell'orzo, dalla "scala" di temperature adottate in fase di cottura del mosto, ecc.) oltre che dalla qualità del luppolo, dalla qualità dei fermenti adottati in fase di fermentazione, dall'andamento guidato della fermentazione, e dalla esperienza del "mastro birraio". Una considerazione altrettanto "primaria" va però fatta; perchè di fa ricorso al termine "artigianale" per connotare in mercato prodotti che vogliono veicolare caratteri diversi da quelli abbastanza definiti essere caratteristici della birra?
Non si vuole con ciò far critica delle modifiche di gusto (spesso troppo diverse dal tradizionale per presenza di note "estranee") apportate con criteri differenziati (impiego di cereali diversi, modifiche nella produzione del malto, ecc.): si vuole soltanto precisare che tali modifiche non hanno nulla a che fare con il termine "artigianale". L'uso comune di tale termine trae in inganno e confonde il consumatore comune, oltre ad indurre l'idea che il termine "industriale" indichi qyalcosa di deprecabile.
Non sono fino ad oggi definiti i criteri d'uso del termine "artigianale" ed occorrerebbe che una normativa li definisca, anche per la birra. Altrimenti si potrebbe vestire di "artigianale" l'immagine di una birra prodotta in un sottoscala con l'uso di un fermentatore inadeguato per condizioni microbiologicamente inadeguate.
Si terrà a breve un convegno sulle birre "diverse": ben venga il convegno, fa sempre cultura. Ma lo scrivente esprime il timore che si produca, nel tempo, uno svilimento del mercato per disaffezone di principio dal tradizionale. Intanto non è sempre detto che alla diversificazione corrisponda una ricerca di qualità: qurello di qualità è un concetto complesso, che nulla ha a che vedere con l'artigianale.
Per notizie ulteriori sul convegno gli interessati possono inviare mail all'indirizzo seguente:
fernando.tateo@unimi.it

Sulla fame nel mondo

Non esiste il termine di “biofame”, è necessario invece ricordare che esiste invece la “fame” nel mondo.
Esaminando l’ultimo documento FAO dell’11 settembre 2018 si rileva che la stima dei dati rappresentativi della “fame nel mondo” ha subito nel biennio 2016-2017 un incremento pari a ca.17 milioni, passando da 804 a 821 milioni di individui sottonutriti (più del 2% in un anno).
La variabilità del clima ed il numero degli eventi di gravità estrema sono fattori relazionabili comunque alla continua diminuzione della produttività agricola: basti pensare alla conseguente riduzione della potenzialità di lavoro ed alle minori rese di produzione. Le minori rese sono relazionabili, come è noto a chi di agricoltura se ne intende, alle mutazioni dei “timing” climatici.
Accettando il criterio spesso discusso trasmessoci dai primordi della statistica, la situazione attuale è tale da consentire di affermare che la sottonutrizione colpisce un individuo su nove. Il triste primato spetta ai Paesi asiatici: seguono i Paesi africani e poi quelli dell’America latina. Non è quest’ultima una considerazione tranquillizzante, laddove le stime sulla diffusione dello stato di fame, sempre spalmate da quale che sia il governo imperante, non occupano se non molto raramente le pagine di giornali o i servizi giornalistici dei media.
Più di 150 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni soffrono di disturbi della crescita (peso del corpo non commisurato all’altezza) mentre più del 30% delle donne in periodo riproduttivo soffre di anemia. Si potrebbe andare avanti in tal senso interpretando i dati FAO, ma se di conclusioni si vuol parlare occorre dire che: a) la distribuzione del benessere alimentare è quanto meno iniqua, b) le mode alimentari, frutto di distorsioni indotte dalle economie accentratrici, stanno creando proprio nei Paesi considerati comunemente più sviluppati, un danno “nutrizionale” dei più iniqui.
Risultato è quello della distorsione dell’attenzione dalle problematiche reali (fa cui quella quella della fame indotta da maldistribuzione del reddito) verso “mode” e “fantomatiche idealizzazioni di principi non sanciti da alcuna realtà sociale o di scienza della nutrizione. Che la figlia di un cantante di classe, naturalmente non dotata come suo padre, si inventi la dieta mirata a non mangiar carne in un giorno per settimana o che una presentatrice televisiva, visti gli scarsi risultati in scienza giornalistica, si ricicli come distributrice di ricette, può anche far parte dei mille episodi perdonabili di utilizzo indebito di una professione, ma che si distorcano principi sostanziali dell’etica per creare gruppi di potere economico che non hanno alla base se non filosofie sostenute da improvvisati, è ben altra cosa. Quel che meraviglia è peraltro il “potere d’accesso” all’informazione posseduto da certi gruppi di potere: in una rubrica dal titolo “medicina speciale” (6.01.2019) si è avuto modo, ad esempio, di ascoltare una più che fantomatica teoria sulle cause dell’insorgenza dell’osteoporosi sostenuta da un vegano, il quale consigliava, in periodo di gestazione, di non assumere cibi “acidificanti”. Sarebbero questi a modificare il pH del sangue disequilibrando il sistema di distribuzione del calcio. Un’altra teoria chiarificatrice delle cause di mal pensare e mal agire sarebbe quella che attribuisce agli “inquinanti” derivanti dall’agricoltura l’ingresso di questi ultimi nell’organismo umano attraverso la distribuzione dell’acqua nel sistema cellulare. Conclusione:”consumare alimenti biologici”.
Sarebbe opera troppo impegnativa quella intesa a demotivare bio e biodinamici dal perseguire attività intesa a divulgare teorie che non hanno alcun fondamento e che cozzano in modo determinante con una serie di realtà scientifiche che hanno invece un fondamento in necessità di carattere oggettivo. Si è fatto richiamo alla vera problematica della fame nel mondo: è noto in modo incontrovertibile che l’impiego ragionato e consapevole di fitofarmaci ha permesso e permette l’igienizzazione di derrate di base ad alto impatto e che una lotta ragionata va invece rivolta a coloro che non provvedono a regolamentare in modo drastico la vendita e l’impiego di tutti i presidi sanitari destinati all’agricoltura. Attraverso verifiche coordinate e integrate è oggi possibile eseguire ricerche analitiche di altissima efficienza atte a imporre il rispetto di limiti di residui di fitofarmaci che la Normativa Europea ha ben varato e reso noti a tutti gli operatori del settore. Basta quindi potenziare gli Istituti di Controllo e dotarli di potere di possible immediato intervento (diffida, sequesto, distruzione delle merci non a norma, pubblicazione dell’identità di distributori e utilizzatori di fitofarmaci di cui esiste revoca d’uso, ecc.). Si è scelta, in alternativa a tale tipo di soluzione, quella del varo e consenso d’uso del termine “bio”, termine che discrimina psicologicamente l’acquirente che vorrebbe ma non può sostenere un maggior carico di spesa costante: si è avuto modo di esprimere in modo chiaro, in altri scritti con stessa firma la non eticità di esistenza di mercato in merci bio e non bio. Gli alimenti devono essere salubri per principio, non in dipendenza delle capacità d’acquisto ed è indegna di una società civile la coesistenza di due gradi di salubrità.
Ma ciò che lascia esterefatti è la capacità di intervento che i poteri economici del “bio” (ed oggi anche del “biodinamico”) ostentano: il solo risultato, peraltro asociale raggiunto da tali mercati è una ingiustificata lievitazione dei prezzi, realtà troppo dura e attuale con cui occorre che ogni individuo di questa povera (povera!!) nazione deve fare i conti. Tra l’altro, lo dice chi ha svolto e svolge attività di analisi chimica strumentale, perché non si divulga con tutti i mezzi possibili la realtà di un mondo oggi capace di identificare e quantificare i residui di fitofarmaci impiegati in modo inadeguato? L’invenzione di una nicchia di consumatori è il mezzo più errato da adottare se il fine che si vuol perseguire è quello della valorizzazione della produzione nazionale. Si preferisce invece e si permette la divulgazione di affermazioni di contenuto discutibile, trascurando il danno che si provoca a chi studia e sperimenta.
In merito alla ”biodinamica”, che si contrappone, io credo alla “biostatica” preconizzando l’avvento di altro “biocommercio” e relativi “biocontratti”, mi pare ci sia poco da dire. La filosofia di quel “biomalandato” di tale Steiner, ha addirittura trovato dei biosostenitori ancora nel novembre scorso, cosa che ha permesso di tenere un bioconvegno biodinamico con un biorisultato di quelli che non è il caso di ricordare, visto che trattasi integralmente di produzione “bio”.
Da quanto detto, al di là di ogni pregiudizio che i biosostenitori riservano agli alimenti “normali”, è bene tener presente che:
"Se vogliamo raggiungere un mondo senza fame e malnutrizione in tutte le sue forme entro il 2030, è imperativo accelerare e aumentare gli interventi per rafforzare la capacità di recupero e adattamento dei sistemi alimentari e dei mezzi di sussistenza delle popolazioni in risposta alla variabilità climatica e agli eventi meteorologici estremi" hanno affermato i responsabili delle cinque organizzazioni delle Nazioni Unite autrici del rapporto FAO.

Parmigiano Reggiano e Grana Padano: la diatriba.

In poche parole:
il Grana Padano ha chiesto agli organi di Sanità di mutare la denominazione di "additivo" al lisozima contenuto nel Grana al termine dei 9 mesi di stagionamento e di sostituirla con "coadiuvante tecnologico". La rtichiesta è stata mirata ad ottenere il cambio di denominazione che possa permettere di vendere il Grana Padano come formaggio "senza additivi",
Il Parmigiano Reggiano, in virtù del suo disciplinare, non utilizza lisozima, additivo finalizzato ad impedire la proliferazione della specie Clostridium. Non utilizzando insilati in alimentazione delle mucche, i produttori di Parmigiano Reggiano possono servirsi invece a buona ragione della dizione "senza additivi".
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Il bello è che il Ministero della Salute ha varato il cambio di denominazione, sotto la spinta di argomentazioni mirate a dimostrare che a fine stagionatura il Grana Padano non abbisogna più di presenza di "lisozima", e quindi i residui riscontrabili di questo additivo non eserciterebbero più alcuna funzione antispore.
Ma l'attività antispore il lisoziima l'ha già espletata ben prima del periodo di vendita nel Grana Padano.........
Si spera che il lisozima non venga promosso a coadiuvante tecnologico solo perchè il Grana Padano ha mosso richiesta di cambio classificazione per aiurare il suo marketing a usare la stessa dizione "senza additivi" che il Parmigiano Reggiano può con ragione usare da tempo.
Sarebbe come consentire il cambio di nome di intestatario di un passaporto.
Non mi pare sia cosa corretto. Intanto il lisozima resta un allergene, e si spera che non cambi attività di allergene solo perchè quell'attributo è considerato scomodo.
Prof.Fernando Tateo
fernando.tateio@unimi.it
Aggiornamento: il problema si è risolto, ha avuto ragione il Parmigiano Reggiano

Lettera di Natale

LETTERA DI NATALE 2018
Non ci sarebbe molto da dire, ma azzardiamo a rivolgerci al Signore per chiedergli di intercedere per tutti coloro che si improvvisano.....
Sono tanti quelli che si improvvisano, con tanti progetti con ricaduta sugli altri, naturalmente.
Non importa il contenuto, purchè si dica quaklcosa di sconclusionato e lo si venda con sana dialettica.....
Di fronte a quello che ci si prospetta a breve, non ci sono parole adeguate ad esprimere lo sconforto.
D'accordo.....hanno regnato anche i Borboni ed anche i Savoia, quindi possiamo accettare di buon grado che regnino altri....Alè!
Non siamo soltanto un popolo di geni e di navigatori, siamo anche un popolo di autodidatti. Di prima qualità.
Buon Natale!!!!!!!!
Fra gli argomenti che pare costituiscano oggetto di fondamentale interesse, nelle stanze dei bottoni, vi sareebbe (da indiscrezioni) anche quello relazionabile al mercato del "bio". Ma perchè coloro che professano il bio ed il biodinamico non fanno una passaggiata in centro di Milano per prendere visione degli abbandonati sotto i portici senza tetto e senza alimenti "!bio"?
La voce di chi parla senza improvvisazioni, e ha titolo per farlo, è scomoda....e lo era anche nel 1848. In occasione del prossimo Natale, regaliamoci un libro che parli di storia. Ma facciamo comunque una passeggiata sotto i portici adiacenti al Duomo e censiamo gli occupanti fra stracci e coperte di fortuna: può darsi che i poveracci siano diminuiti di numero, e potremo inneggiare al risultato dell'improvvisazione.

Dal 15 al 17 novembre un Convegno Internazionale di ”biodinamica” a Milano

.......... solo l’expo avrebbe avuto giustificazione di promuoverlo
Non meraviglia che il mondo si interessi ad attività che hanno del sovrannaturale: quando si perde, per ragioni varie, il senso del concreto e si è colpiti dalla sfiducia per le cose del mondo che non si riesce a domare, si instaura nell’uomo il desiderio di scoprire nel sovrannaturale la “soluzione” e quindi il “rimedio”.
Se l’individuo colpito da sfiducia ha saldi punti di riferimento ( i genitori, la scuola, la cultura, la famiglia, i figli, il lavoro) o almeno ne ha alcuni, si dà il caso che possa trovare soluzione nella religione, che nelle generalità dei casi non spinge a giudizi abberranti sulla realtà e fa salvo il principio della limitatezza dei valori umani ponendo nel Dio, quale che sia la sua denominazione, la verità e quindi la soluzione d’ogni problematica umana.
Quando invece il mondo circostante non “aiuta” l’individuo che è sconcertato di fronte a problemi irresolvibili perché oggettivamente insormontabili, per il solo fatto che la soluzione venga vista come lontana dalle nostre potenzialità immediate di intervento, l’uomo tenta di sostituirsi al sovrannaturale e inventa una soluzione più a sua portata di mano, gestibile senza fede e con “scienza” di discutibile calibro.
Non si condanna con ciò chi sfortunatamente cede a soluzioni approssimate, ma si ritiene che il mondo debba con garbo scientifico aiutare il deviato a venirne fuori, evitando di incentivare le filosofie alternative e curando che restino tali, ma senza che arrechino danno al mondo “per ora” concreto della scienza del “provare e riprovare”.
Nel 1861 nacque Rodolf Steiner, creatore della “antroposofia”, disciplina esoterica che aveva il difficile compito di considerare il mondo dello spirito sì come manifestazione divina, ma a portata di mano perché osservabile con i mezzi scientifici disponibili. L’antroposofia dava quindi all’uomo in qualche modo lo scettro della chiaroveggenza e l’ente “spirito”, secondo la filosofia antroposofica, era una realtà gestibile attraverso un metodo scientifico.
A questo modo di intendere si giunge quando proprio non si riesce ad accettare che la scienza umana sia soltanto un mezzo di misura, con tutte le limitazioni umane, e che il sovrannaturale e quindi lo spirito non siano gestibili attraverso scienza.
Da quella filosofia alla “biodinamica” il passo fu breve e si spera che il mondo della scienza possa almeno oggi, non invaghito della possibilità di gestire il metafisico, arrestare movimenti “antroposofici” pregando gli organizzatori del Convegno a non dare mano ed avallo alle “pseudo scienze”. Che ne direste di smetterla d’utilizzare il “prefisso bio” in assoluto, lasciandolo soltanto a rappresentare la materia di studio che, con canoni non distorti, si chiama “biochimica”?
Pensiamo a quello che Gaetano Quagliariello ed Ernesto Quagliariello direbbero oggi a fronte ad un invito a presenziare al convegno di biodinamica…..Fernando Tateo ha studiato su un testo di Gaetano ed è stato allievo di Ernesto ed immagina QUEL CHE AVREBBERO DETTO E FATTO.
Non parliamo neanche di quello che avrebbe detto Corrado Cantarelli.............direttore dell'Istituto di Tecnologie Alimentari in UniMi di cui chi scrive è stato Assistente Ordinario.
Fernando Tateo
348.7155835

Tesi di laurea presso i Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sigli Alimenti

Si crede utile dare nota dei titoli delle tesi di laurea svolte di recente presso i Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sugli Alimenti e l'Ambiente dell'Università degli Studi di Milano (Di.S.A.A.), con rel./corr. Monica Bononi e Fernando Tateo e presentate negli Anni Accademici indicati:
Anno Accademico 2016/2017 Esperienze di produzione di estratti di foglie di olivo (Olea europaea, cv.Simona)
Anno Accademico 2016/2017 Criteri di valorizzazione delle leguminose - Esperienze dirette sul potere antiossidante
Anno Accademico 2016/2017 Esperienze tecnologiche ed analitiche in tema di produzione di estratti aromatici da vermouth
Anno Accademico 2016/2017 Introduzione alla conoscenza di composti caratterizzanti il riso rosso
Anno Accademico 2017/2018 Caratteristiche di utilizzo comparativo di due diverse fibre alimentari in formulati da forno

Le sei parole chiave di Silvio Garattini per il futuro ed il commento di Fernando Tateo

Sul "Negri News 178", mensile dell'Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS", leggo finalmente una frase redatta senza distorsioni e senza politiche circonvoluzioni. La frase è la seguente, scritta da uno che ciò può scrivere senza alcun dubbio con competenza: "La ricerca scientifica è nel nostro Paese sempre più abbandonata, come se fosse un'inutile spesa anzicchè un investimento essenziale per lo sviluppo dell'Italia...."
Il Prof.Silvio Garattini, che scrive quanto sopra, riferisce tale considerazione al settore biomedico e propone di inquadrare una visione del futuro intorno a 6 parole: indipendenza, condivisione, ricerca, giovani, pubblico, passione.
Gli argomenti toccati con sitesi mirabile esprimono il carattere dell'uomo Garattin, sia nel contesto sociale che scientifico:
In merito all'indipendenza, affferma l'importanza che essa sia "effettiva" nei confronti della politica.
Quanto alla condivisione afferma che "le buone teste sono necessarie ma non sufficienti e che è indispensabile l'internazionalizzazione.
Sulla ricerca afferma che è la nostra ragion d'essere e che "il mercato della medicina tende ad esaltare i benefici e a dimenticare i rischi".
Quanto ai giovani afferma che occorre continuare a mantenere un clima giovanile in cui però senior e junior sviluppano insieme la loro formazione.
Sul pubblico afferma che il popolo italiano ha bisogno di migliorare la sua cultura scientifica.
In tema di passione dice finalmente che dobbiamo sentire il privilegio di essere ricercatori perchè siamo sempre ai confini della conoscenza. Aggiunge che chi non sente questo privilegio è bene che cambi mestiere!
In realtà, qualsiasi commento a queste parole è pleonastico. Le si dovrebbe abbracciare in toto e farle proprie. Questo è l'unico commento che Fernando Tateo sente di fare su uno scritto di una persona che ha incontrato varie volte nella vita accademica e vorrà continuare ad incontrare.
Silvio, come fai a dirle sempre giuste? Se hai tempo, per favore, insegnamelo!
Prof.Fernando Tateo
Università degli Studi di Milano

Seminario su ”acrilammide” negli alimenti il 18 giugno 2018 a Milano

Organizzato da Ars Edizioni Informatiche e da EuFAN, si terra a Milano il 18 giugno presso la Sala Congressi dell'Hotel UNA (Metro: fermata Gerusalemme) , un seminario di informazione per l'industria di trasformazione dei cereali. del caffè ed altre derrate che rientrano fra quelle considerate da un Regolamento UE entrato ora in vigore.
Si tratta di un Regolamento che impone ai produttori di alimenti che contengono precursori dell'acrilammide di attuare misure atte a ridurre la trasformazione di asparagina e zuccheri in acrilammide, rispettando valori di riferimento dettati dallo stesso Regolamento UE.
Relatori esperti in tossicologia, tecnologia degli alimenti ed in chimica analitica terranno relazioni sul tema.
Per informazioni consultare il sito Arsed su cui compare il programma del seminario o telefonare al 348.7155835
La partecipazione è gratuita.

Decrelo Legislativo sulle Piante Officinali

Il 16 maggio 2018 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legislativo su "Coltivazione, raccolta e prima trasformazione delle piante officinali". Questo Decreto costituisce nuovo Testo Unico sul tema, e si attende la sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
Commenteremo il testo a pubblicazione avvenuta.
Il testo stesso non contiene argomenti attinenti alle attività successive alla prima trasformazione, regolamentate dalla specifica normativa di settore.

In aprile 2019 il 6° CNAF - Conferenza Nazionale sugli Aromi e le Fragranze”

Foto ricordo 1991 - F.Tateo con il gruppo degli organizzatori
Per ora questa comunicazione contiene soltanto la conferma di una decisione sollecitatami da molti: quella di dare continuità alla serie dei 5 Congressi CNA svoltisi fino ad ora, con il successo che molti ricordano. I precedenti si sono svolti a Salsomaggiore, Pavia, Lugano, Cernobbio, Milano.
Seguiranno tutte le notizie di ordine scientifico e organizzativo che consentiranno il solito successo, che non si vuole soltanto sia tale per il numero di partecipanti, quanto per i contenuti che ora più che mai sono da porre sul tavolo della scienza perchè siano discussi: sicurezza, protezione del know-how, tecnlogie da consolidare. Questa volta si è aggiunta la lettera "F" nell'acronimo: si discuterà anche sulle Fragranze.
Prof.Fernando Tateo
cell. 348.7155835
dir. UniMi 02.50316540
email: fernando.tateo@unimi.it

Convegno sul ”glifosate” il 22 marzo a Roma

Si sono sentite raccontare e pubblicare tante novelle da parte di tanti autori da far venire la voglia a molti di scriverne qualcuna in aggiunta.
Tradotta in modo più esplicito, questa frase d'inizio può essere tradotta nel m0do seguente: "ho sentito raccontare tante cose in tema di glifosate da sentirmi sollecitato a dire anche la mia". Detta così, il sottoscritto si sentirà probabilmente giustificato per aver pregato il Gruppo Maurizi di Roma ad aprire le porte ad un seminario di informazione che raccolga le voci di alcuni esperti capaci di fare chiarezza sul perchè si parli ancora tanto di "glifosate".
Il seminario si terrà a Roma, nella sede del Gruppo Maurizi, il 22 marzo p.v. e tratterà dello stato dell'arte del fitofarmaco "glifosate" (noto diserbante) sotto diverse angolature: agronomia, analitica, sicurezza alimentare, trasformazione, consumatori.
I media hanno esposto tanti punti di vista differenti fino ad oggi e si dà il caso di sentirne parlare da diverse angolature, purtroppo tutte di parte, di diverse "parti". Il seminario che ho voluto a Roma insieme al Gruppo Maurizi vuole essere diverso nelle finalità: informare, senza pretesa di raggiungere la verità, ma senza prevaricare nessuno e dando informazione utile a chi vuole sostenere opportunità diverse, o anche fare conoscenza analiticamente corretta.
Finalità importante è quella di dare informazione tecnico-scientifica anche sul come realizzare una qualificazione dei forniitori di materie prime e di prodotti finiti in modo da perseguire una specifica politica di marketing.
Non è questa la sede in cui anticipare contenuti e nomi dei relatori: esaustivi saranno i contenuti, competenti i relatori designati.
Per informazioni contattare il 348.7155835 oppure 02.50316540.
Per chi preferisce scrivere, usare la mail fernando.tateo@unimi.it

Evoluzione della ”chimica degli alimenti” nella didattica e nell'industria

Qualche anno fa F.Tateo, Professore Odinario di Scienze e Tecnologie Alimentari e docente di "analisi chimica degli alimenti" aveva dato vita ad una rubrica dal titolo "Scienza, Mercato, Opinioni" su una rivista ben nota del settore alimentare a cui dal 1773 aveva "offerto" collaborazione, ovviamente senza alcuna finalità economica.
In uno degli articoli pubblicati in tale rubrica era stata presentata una breve storia della didattica di "chimica degli alimenti" nel nostro Paese, iniziata con l'introduzione del corso di "chimica bromatologica" nel corso di Laurea in Farmacia: il corso era già attivo da tempo negli anni '60, ed era concepito come un insieme di informazioni sulla composizione degli alimenti fondamentali corredata da descrizione di tecniche analitiche destinate alla qualificazione merceologica e nutrizionale degli alimenti. Il tema delle sofisticazioni e delle frodi era ovviamente trattato, con le limitazioni di contenuto proprie di un corso introduttivo alla vera e propria operatività.
Al tempo detenevano la competenza analitica del settore i Laboratori di Iguiene e Profilassi (Ministero della Sanità), i Laboratori del Servizio Repressione Frodi (Ministewro dell'Agricoltura e Foreste), i Laboraori Chimici delle Dogane (Ministero delle Finanze). I laboratori "privati" svolgevano attività analitica a livello non certo tale da eguagliare quello dei laboratori di Stato, mentre l'industria alimentare mirava a detenere la competenza analitica in laboratori interni all'industria stessa. Le competenze di questi laboratori industriali erano certamente rivolte allo specifico campo di produzione, quindi avevano competenza più che altro settoriale, ma mediamente a buon livello.
Negli anni 60-70 il Prof. Corrado Cantarelli, sulla scorta di esempio offerto in Europa dall'attività dell'Università di Wageningen, già nota come eccellenza in "healthy food and living environment", inventò il corso di laurea in Scienze delle Preparazioni Alimentari, come gemmazione della Facoltà di Agraria di Milano.
Introdusse quindi il corso di "Analisi Chimica degli Alimenti" ed anche di "Esercitazioni di Analisi Chimica degli Alimenti" nei quadri della didattica.
I corsi di analisi chimica degli alimenti e di esercitazioni non sono mai stati considerati oggetto di particolari politiche di incentivazione e si sono poi gradualmente ridotti nei contenuti anche grazie alla lungimiranza di chi gestì il passaggio alle lauree triennali, vera rovina delle cultura universitaria voluta da chi, nascondendosi dietro quanto altre nazioni a questo punto della Comunità avevano fatto, voleva incentivare la proliferazione dei titoli di laurea a tutti i costi, ben prevedendo l'avvento di grande disoccupazione giovanile e ritenendo opportuno posteggiare quanta più gente possibile in attesa di una laurea.
Ma quanto detto è soltanto una premessa a quanto lo scrivente esprimerà qui di seguito.
Fatto stà che, negli anni, la limitata esperienza acquisita nei corsi universitari non ha consentito di guidare con vera competenza l'evolversi della dinamica dei controlli analitici, e ne è scaturito il continuo imporsi e dilagare della "esperienza" delle strutture industriali di produzione delle attrezzature analitiche. I corsi universitari non si sono mai veramente adeguati allo sviluppo delle tecniche analitiche, in costante evoluzione e ciò ha avuto come diretta conseguenza la creazione di strutture analitiche "parallele" a quelle analitiche interne all'industria del food. Ecco quindi sorgere le industrie dell'analisi, i laboratori che attualmente svolgono il controllo di qualità e sicurezza degli alimenti all'esterno delle aziende di produzione. Ecco l'invenzione di quello che si è chiamato "autocontrollo", che altro non è se non la devoluzione a terzi di competenze analitiche che invece avrebbero dovuto essere il fiore allì'occhiello di ogni industria del food.
Le conseguenze sono quelle a cui assistiamo ogni giorno: crescita del numero dei laboratori privati di analisi, creazione di competenza esterna all'industria del food, guerra dei prezzi nella fornitura di servizi analitici, guerra nell'accaparramento dei servizi analitici da fornire all'industria alimentare.
Tutto ciò sfugge a chi gestisce la politica della cultura: l'università non fornisce più esperti in analitica applicata, finisce per non aver voce alcuna nello sviluppo e resta a svolgere un ruolo non primario nel settore.

Chiarimenti sul glifosate e made in Italy (che c'entra il capitalismo?)

Nel numero di giovedi 23 novembre, l'inserto "Il gambero Verde" de Il Manifesto titola: "Il grande pasticcio" con sottotitolo "La pasta è made in Italy, il grano non sempre".....la minaccia del glifosato,,,,,la battaglia per etichette trasparenti e per un'agricoltura di qualità....."
Tutto va bene quando si vuol dare informazione al consumatore, ma a mio parere si perde credibilità se si parte dal presupposto che si tratti di "Un giornale ambientalista e anticapitalista", come dichiarato a fondo pagina essere "Il gambero verde" perchè il capitalismo non c'entra con il glifosate. Chi ha creato il grande pasticcio è invece colui che per un alimento ha usato per primo la frase "made in Italy", riassumendo in quel "made" troppi concetti fra cui quelli di "ideazione", "creazione", "produzione" ed anche "nascita" e quindi "paternità e derivazione della materia prima". La frase in questione è finita per divenire, negli anni, il compendio di quanto di positivo è attribuibile alla creatività italiana, e fin qui è megalomania di casa nostra, perdonabile o meno che sia: non ci siamo quando qualcuno impone di far credere che il "made in Italy" si possa attribuire soltanto a cio che è "italiano" dalla testa ai piedi.
Quando il concetto finisce nelle mani di chi dell'alimentazione ne sa poco o niente, si rischia (come è gia accaduto) si diventare ridicoli contribuendo al varo di idee sulla possibilità di vantare "made in Italy" solo se in senso stretto. Trattando di altro manufatto, vero è che la tecnologia di trasformazione della pelle animale in cuoio è certamente non solo di appannaggio italiano, ma il "made in Italy" di una scarpa ha comunque una logica perchè l'origine del cuoio della suola può sì non essere nazionale, ma tutto il resto (buon gusto, taglio di suola e tomaia, stile in generale) può caratterizzare comunque inequivocabilmente il manufatto come "italiano", cioè frutto della creatività e del buon gusto "italiano".
Gli integralisti, che si identificano spesso con coloro che non certo sono del mestiere, intendono che intanto sia fondamentale e risolutivo che si connotino le merci come "italiane" o di altra origine attraverso una "etichetta" declaratoria. Nello stesso tempo non hanno armi sufficienti per impedire che l'olio di oliva tunisino finisca per smontare l'ìeconomia del Meridione d'Italia, anzi ne permettono regolarmente l'importazione. Nè vi sono armi per distinguere, se non con mezzi documentali non ineluidibili, che uno sfarinato sia inequivocabilmente stato prodotto nel Tavoliere o in Canada. L'imposizione di etichette declaratorie dell'origine diventa il mezzo di protezione della italianità...questo identifica una politica che si dice protegga il consumatore.....
Ora la determinazione del glifosate è diventata il mezzo indiretto di identificazione di sfarinati derivati da Paesi in cui l'uso del glifosate è consentito. Ma la problematica è in realtà più larga, perchè una certa stampa afferma che "le paste con tracce di glifosate dovrebbero essere fuorilegge", non essendo sato possibile stabilire una soglia che qualcuno chiama di pericolosità. Ma su qusto dato di "soglia" in realtà si potrebbe discorrere molto più a lungo: un valore "normato", per esempio, non è comunque da considerare una soglia. Sabebbe necessario accedere a concetti molto più profondi.
Ma, ci si chiede, chi vuole proteggere l'italianità della pasta semplicemente attraverso una dichiarazione d'origine in etichetta non sa che da tempo inveterato le paste più "buone" sono state prodotte quasi sempre con il"concorso" di grani e sfarinati di origine non italiana?
Il problema, se problema è, sta nell'invenzione di sistemi protezionistici senza fondamento. Siamo pieni di acronimi senza senso, dal DOC in poi, di "bio" con protocolli di produzione aggirabili, di formalità d'etichetta senza senso concreto, di aromi naturali per i quali non esistono mezzi inequivocabili di distinzione dai natural-identici, e basta così. Ci aspettiamo che qualcuno inventi le spezie dell'Appennino da distinguere da quelle delle Prealpi, e l'imposizione della denominazione d'origine in etichetta.
fernando.tateo@unimi.it

Breve seminario su “Qualità, valore nutrizionale e sicurezza degli alimenti: più oggi che ieri?”.

Su invito dell’Avv.Gianluigi Alliegro, Presidente del Club Milano Porta Vittoria in occasione di un incontro conviviale tenutosi dai Rotariani all’Hotel de la Ville in data 18.09.2017, il Prof.Fernando Tateo ha tenuto un breve seminario su “Qualità, valore nutrizionale e sicurezza degli alimenti: più oggi che ieri?”.
Si riporta un breve testo che riassume gli argomenti esposti:
L’alimentazione è espressione della cultura dei popoli: nelle tendenze alimentari infatti si estrinseca quanto un popolo ha acquisito in termini di conoscenza delle problematiche igieniche, della cura per attività agricole (diversità di fonti proteiche e glucidiche), per l’allevamento del bestiame ed il consumo delle proteine animali. Oggi, come “mangiar sano” è opportuno intendere sia il risultato dell’obbedienza a dettami nutrizionali (equilibrio nei consumi) sia il risultato dell’obbedienza ai dettami dell’igiene”: dal punto di vista igienico non si può intanto negare che l’offerta di alimenti oggi sia mediamente più rigorosa in termini di risposta alle necessità di prevenzione delle malattie derivanti da inquinamento microbico. Dal punto di vista della genuinità intrinseca degli alimenti occorre tener conto della attuale necessità di adottare processi di trasformazione e di stabilizzazione che non sempre rispondono a logiche di ottimizzazione dei caratteri sensoriali. Chi ricorda con nostalgia alimenti dotati di particolare appetibilità non sempre risponde soltanto ad un idealizzato ricordo del passato, ma troppe volte identifica realmente caratteri che la nuova cucina non offre più. Pentole a pressione, impiego di sughi pronti, alimenti surgelati, padelle antiaderenti, ecc. hanno stravolto le tecnologie “pazienti” di anni addietro, inevitabilmente a causa di una qualità della vita oggi marcata su “urgenza e apparenza”. Ecco spiegarsi il fenomeno dei piatti che offrono “vista” e non “contenuto”, accostamento forzato di alimenti e frammenti di questi con salse di dubbio valore sensoriale e nutrizionale, schiume che ricordano qualcosa di non educato a dirsi, letti di creme “viscide” atte a evitare ogni ricorso ai dentisti, inesistenza di accoppiamenti dettati dal minimo di cultura nutrizionale. Triste è considerare che la fiera che doveva condurre ad esportare la nostra tecnologia alimentare in Europa si sia ridotta ad una palestra per cuochi in aggressivo atteggiamento di conquista del posizionamento fra gli stellati.
Superando queste critiche, dobbiamo invece considerare che le tecnologie alimentari hanno comunque risposto ad una necessità altamente etica: quella di ridurre sensibilmente il rischio derivante da inadeguata igiene nella produzione degli alimenti e conseguentemente nell’offerta di alimenti. Plauso quindi all’attività di Caprotti (peraltro anch’egli ratariano) che per primo nel nostro Paese instaurò un market della grande distribuzione. Danno conseguente è tuttavia quello dell’appiattimento dell’offerta e della corsa all’offerta vincente per prezzo. Si sta perdendo “tipicità”, anche se molte volta si tende a presentare nella grande distribuzione preparazioni alimentari che tentano di far ricordare materie prime antiche e quindi coperte da alone di tradizione.
Il fenomeno comunque più evidente è quello attuale della ricerca spasmodica di “innovazione”: solo il mercato stanco ha bisogno di innovazione, ed è il nostro caso, in un mondo in decisa recessione. Mille tipologie di biscotti, mille tipologie di merendine, mille tipologie di snack, senza vera giustificazione di invenzione: sola attenzione sostanziale è quella per il packaging, su cui si incentra la spinta del produttore. In parallelo le normative difendono il principio della necessità di informazione per il consumatore, senza tuttavia condurre a nulla di sostanziale: da ultimo, cosa si fa di utile quando ad esempio si impone di dichiarare in etichetta l’origine gei grani da cui è stata prodotta la pasta? Noto è agli esperti che atavicamente le paste migliori sono state prodotte non partendo da frumenti italiani, ma da frumenti canadesi, russi, ecc. sapientemente miscelati con frumenti nazionali. Altri interventi “di forma” sono quelli che mirerebbero a posizionare in evidenza le produzioni nazionali: ad es., la dichiarazione di “olio extra vergine prodotto con olive italiane” cozza pesantemente con i decreti di consenso all’importazione di olio di oliva tunisini in quantità tali da danneggiare concretamente la nostra economia.
La difesa del consumatore passa concretamente attraverso il controllo “analitico”, e non “virtuale”. Sarebbe cosa buona e giusta incrementare il numero dei laboratori analitici di controllo di Stato e non solo il loro numero, ma anche il numero degli operatori analitici di Stato. Non siamo ancora un Paese in cui l’autocontrollo possa ritenersi sufficiente per risolvere il problema della qualità e della sicurezza degli alimenti.
Quando in definitiva si deve dare parere su “meglio o peggio di ieri”, in alimentazione occorre fare dei chiari “distinguo”:
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L’accesso alla diversificazione delle preparazioni alimentari in grande distribuzione ha raggiunto limiti quasi invalicabili.
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Dal punto di vista dei “larghi consumi” la GDO ha offerto gran defezione in tipicità ma più alta sicurezza nei consumi.
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Il mercato dei “dettaglianti” si è sostanzialmente ridotto, ma qualitativamente si posiziona meglio in termini di tipicità e di igiene di quanto lo fosse molti anni fa.
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Una parte della ristorazione offerta da ristoranti e servizi equivalenti ha imboccato la strada funesta della così detta “ricercatezza” formale, perdendo tipicità, perseguendo il lucro e non rispondendo a dettami nutrizionali di significato reale.
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La ristorazione tipica offerta da ristoratori di mestiere ha continuato a offrire qualità e buon gusto, con incremento sensibile della qualità igienica, pur se in alcuni casi si riscontra il ricorso a mano d’opera non più qualificata come quella di una volta.
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Salvo l’offerta di alimenti destinati ad alimentazione particolare (celiachia, intolleranze, ecc.) nella GDO, non è stata veramente tenuta in attenzione la necessità di informare correttamente il consumatore che si muove più alla ricerca dei miti (certificazioni, ecc.) che delle concretezze.
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Il deprecabile continuo accesso ai bioprodotti (a mio parere sono “biologiche” anche le pietre e le montagne) non fa se non creare ancora fratture fra i consumatori “che possono” e quelli che non possono.
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La tendenza generale resta quella del “non perder tempo”, e si accentua sempre più: uomini e donne sembra non sappiano più usare il coltello per frazionare le verdure, non sanno più cuocere dei legumi, mangiano carne per semplificare i pasti, non differenziano l’alimentazione, non conoscono i principi dell’equilibrio (mangiar di tutto), prediligono sempre più le conserve.
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La scuola contribuisce in modo pesante alla disinformazione, attraverso il “non informare”, e pare che ciò che importa in totale sia il “mangiar meno”, ponendo attenzione al ’inutile informazione nutrizionale di etichetta. Pochi sanno come sapientemente differenziare i pasti ed i principi alimentari, e si pensa troppo spesso al valore delle Kcal/100 g.
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Si continua a non capire quale sia il vero valore nutrizionale delle sostanze grasse: si evita di principio il burro (e la B12 dove la andiamo più a pescare?), si continua a parlare di fritture leggere prodotte con oli di semi, si risparmia nell’acquistare olio extra vergine di oliva di basso costo (favorendo i mercati “misti”), e queste abitudini permangono anche se il mondo fa sempre più giri su se stesso.
In definitiva….è troppo difficile (in un mondo che si accultura sui libri di cucina e dove prolifera la veganità) ritornare a far intendere che quella dell’alimentazione è una scienza, ben accessibile a tutti se ben semplificata e mezzo essenziale di prevenzione di molte problematiche, non certo divulgabile attraverso le trasmissioni sulla cuocheria “bio”.
Mi chiedo se anche ai cuochi si potrà assegnare la medaglia “bio” oltre che agli alimenti, magari attraverso una certificazione speciale che finalmente differenzi i cuochi bio da quelli non bio perché l’organismo dei cuochi "bio" si potrà affermare seguire regole e flussi biologici preferenziali voluti “lì dove si puote quel che si vuole”. “E più non dimandare” diceva qualcuno a Dante….

Sulle uova ”inquinate” da Fipronil

Nell'estate 2017 appena trascorso, molta stampa ha diffuso notizia sulle uova "inquinate" da un fitofarmaco, il Fipronil
Al solito, lungi dal voler sminuire il significato vero dell'accaduto, viene spontaneo chiedersi se l'informazione sia passata al consumatore in maniera sufficientemente corretta e completa. Sembra di no. Verificare i risultati di analisi a raggio più largo di quanto fatto finora sarebbe cosa senz'altro opportuna.
L'allerta è partita da un Paese europeo: ma non si conosce la dinemica di quanto accaduto-
Il problema delle verifiche analitiche sugli alimenti di largo consuimo è sempre aperto. In pratica sarebbe bene esistesse un piano serrato e costante di controlli di stato su una serie random di alimenti primari, in tutti i Paesi CE. Ma sembra che si continui sempre di più a dara significato all'autocontrollo eseguito da laboratori analitici di servizio privato.
Non si nega che l'autocontrollo ormai eseguito esternamento alle aziende produttrici assolva ad un compito fordamentale ai fini della sicurezza, ma è evidente che vi sono episodi che sfuggono all'autocontrollo.
Un potenziamento delle strutture analitiche di controllo di stato ri sivela ancora essere non opportuno ma indispensabile.
Prof.Fernando Tateo
Ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari

Disinformazione su ”gelato artigianale e gelato industriale”. cosa dicono in televisione.

Alcuni giorni orsono la nostra televisione ha presentato un servizio sul tema menzionato nel titolo di questa nota.
Lo avranno visto in molti e molti sono stati dunque i disinformati.
La prima considerazione da fare da parte di chi sa del mestiere, cioè di chi mastica "foos science" tutti i giorni, è quella che riguarda il tema discusso: si è posta di principio una contrapposizione fra "gelato artigianale" e "gelato industriale", tema che è fuori posto discutere nel modo in cui i redattori hanno fatto.
Al solito, una contrapposizione posta di principio crea due fazioni: in questo caso la trasmissione ha prediletto la posizione critica di quella fazione che identifica nella parola "artigianale" il non plus ultra della sicurezza e della "genuinità".
Il lettore pensi bene al significato di "artigianale": si può preferire di principio prodotti che basino la loro "credibilità" sull'attività di un artigiano più che sull'attività di una società che produca con distribuzione allargata ed organizzata?
Ma ciò che meraviglia è la scelta dei "testimoni della scienza" interrogati in trasmissione. Pur di mostrare di sapere, gli esperti interrogati e sapientemente scelti dalla nostra televisione si sono lasciati indare ad "autogoal" impensabili.
Ovviamente il tema si è spostato sugli aromi: c'è anche chi ha fatto ricorso al petrolio, senza alcuna cognizione di causa, parlando di aromi da sintesi (da denominare "natural-identici", piuttosto).Si è tentato un riferimento alla legislazione vigente, senza cogliere ovviamente le vere problematiche, e si è ostentata conoscenza della problematica riguardante gli aromi naturali....informazioni date al peggio.
Ma ciò che meraviglia più di ogni altra cosa è la disattenzione completa verso le istituzioni: l'Università degli Studi di Milano ha una cattedra di Chimica e Tecnologia degli Aromi dal 1975 con docenti di antica e moderna cultura didattica ed industriale sull'argomento, Cattedra che ha sede presso i Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sugli Alimenti e l'Ambiente (UniMi), via Celoria 2, Milano (tel. 03.50316540 - 02.50316538).
Presso la stessa Università esiste una Cattedra di Analisi Chimica degli Alimenti, degnamente introdotta nelle tematiche industriali quanto nelle tematiche di ordine didattico (stesso indirizzo prima riportato).
Che non sia il caso di informarsi in modo opportuno, per evitare autogol all'industria ed al consumatore?
fernando.tateo@unimi.it

Gli aromi sono destinati al ”food” e non al fumo.

Poichè di continua a "giocare" non solo in Italia, ma anche in altri Paesi (ma di questi ci interessa poco), con i fornelli portatili con i quali si vaporizzano e/o si bruciano aromi e si respirano con la motivazione inconsistente della loro natura "alimentare", sarà il caso di fare un chiarimento sulla situazione, una volta per tutte. Noto è che i composti di demolizione delle molecole organiche che gli sprovveduti respirano sono ben codificati, nelle schede di sicurezza, non certo come "integratori del benessere".
Che vi siano stati nel mondo anche i "kamicaze" è noto, fin dai tempi della guerra mondiale, ma non sta a noi fare ricerche sulle motivazioni. Ma che vi siano incentivatori di autodistruzione attraverso vendita di fornelli portatili mi pare cosa a cui occorrerebbe metter riparo. Naturalmente oggi, con la voglia di autorizzare anche il suicidio, non ci si meraviglia molto che si autorizzi intanto a fumare "aromi" destinati al mondo dell'alimentare. Ma intanto in questo clima che vuole essere di libertà, riscontro che esiste in primis la libertà di danneggiare se stessi, il che è contro i principi più basilari della nostra cultura (e religione, per chi voglia che la si citi).
Non si riesce a comprendere come "in assenza di una dichiarazione firmata da una istituzione, destinata a presiedere alla cura della nostra salute, che sancisca formalmente l'innocuità del respirare i "fumi" di glicole propilenico e i prodotti di pirolisi di molecole che si definiscono aromi", si continui a permettere la circolazione di miscele di molecole organiche dissolte in glicole propilenico e glicerina, destinate a finire nei fornelli portatili di povera gente disinformata.
Ma la cosa più ignobile è che si continui a permettere di usare il termine "alimentare" per evitare giudizi di inadegatezza "sanitaria" all'uso "pirolitico" di miscele di aromi, che per legge non ancora abrogata, possono solo essere destinate al settore "food", e quindi "da ingoiare" quando utilizzate per conferire caratteri di acccettabilità agli alimenti, e non "da fumare". Non è logico, mi si permetta, affermare che ciò che si ingoia si possa anche respirare. Ma astenendomi dal parlare di "danno a strutture organiche umane", in attesa di questa benedetta presa di posizione dei nostri preposti alla salute che sanciscano per iscritto la mancanza di ragioni per ipotizzare un "rischio" nel bruciare e fumare molecole destinate ad altro scopo, mi fermo per ora su un principio: "non esiste una legge che dica che gli aromi alimentari si possono fumare".
E per quelli che affermano che non esiste una legge che vieti di fumare gli aromi alimentari non ho voglia neanche di perdere tempo per rispondere.
In data 8.10.2013 lo scrivente ha dovuto dichiarare su questo sito (vedi in archivio) la sua estraneità a giudizi di maggiore innocuità del fumo "elettronico", assolutamente gratuiti, scaturiti in corso di un convegno in cui si trattava pubblicitariamente del tema “fumo falso”.
In assenza, in sede di quel convegno, di voce autorizzata a dar giudizi di ordine sanitario, chi scrive riteneva non si potesse vantare la minore tossicità di fumo falso prodotto da vaporizzazione di solvente rispetto al fumo da tabacco.
Con ciò non si sta affermando che il fumo da tabacco sia preferibile o più tollerabile per ridotto presumibile danno a carico di chi volontariamente ne è succube. Quel che si vuol difendere è il diritto a diffondere la verità. Verità è che quel fumo che si produce da parte di quei "narkilè" deriva da vaporizzazione di un solvente, il “glicole propilenico” e che le sostanze veicolate e poi vaporizzate e/o pirolizzate nei fornetti "elettronici" sono sostanze destinate ad uso alimentare, ma non per questo "da fumare".
In UniBo Magazine, in data 29 maggio 2017 viene pubblicata, a conforto di quanto affermato sopra, una nota dal titolo "Le sigarette elettroniche possono causare seri danni alla salute". Vengono riportate le conclusioni di un'indagine tossicologica condotta dal Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell'Università di Bologna. Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricerca multidisciplinare coordinato da Moreno Paolini, docente del Dipartimento prima citato ed i risultati sono stati da poco pubblicati su Scientific Reports-Nature.
Moreno Paolini spiega che gli studi dimostrano che l'assenza di combustione non evita la produzione di sostanze tossiche come acroleina, formaldeide ed acetaldeide. I vapori delle sigarette elettroniche provocano un insieme di perturbazioni che, se confermate sull'uomo, potrebbero portare alla trasformazione di sostanze precancerogene in cancerogeni finali. Tra l'altro l'esposizione ai vapori di e-cig produce un aumento significativo dei livelli di colesterolo e degli acidi grassi saturi a cui è associato un importante fattore di rischio per le patologie cardiovascolari.
Donatella Canistro, altra ricercatrice UniBo, conferma che la scoperta più preoccupante riguarda la capacità che "questi vapori" hanno di danneggiare l'informazione genetica all'interno della cellula.
Al lavoro hanno collaborato anche giovani dottorandi del Corso di Dottorato in Scienze Farmacologiche , dello Sviluppo e del Movimento Umano, quali Fabio Vivarelli e Silvia Cirillo oltre a Vladimiro Gardenia del Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale Agroalimentare.
A conferire maggior incisività ai risultati delle ricerche v'è il coinvolgimento di docenti e ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell'Università di Parma, del Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Area del Farmaco e Salute del Bambino dell'Università di Firenze, dell'Istituto di Biologia E Biotecnologia Agraria del CNR e del Centro Tematico regionale di Tossicologia Ambientale di Arpae Emilia-Romagna.
Prof.Fernando Tateo
Università degli Studi di Milano
Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche su Alimenti e l'Ambiente
fernando.tateo@unimi.it

Il ”glifosate” è identificabile analiticamente e non è vero che si metabolizza con la velocità di cui alcuni ”parlano”

Dopo accurati accertamenti sperimentali e dopo altrettanto accurata ricerca bibliografica è possibile oggi affermare che le notizie mirate a depistare dalla considerazione del "rischio" di impiego dell'erbicida "glifosate" non sono corrette.
Residui di glifosate sono di fatto identificabili e quantificabili nei vegetali trattati ed in derrate alimentari attraverso un procedimento analitico adottato anche nei Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sugli Alimenti e l'Ambiente dell'Università degli Studi di Milano (Via Celoria, 2 - 20133 Milano). Almeno altri due laboratori "esterni" possono adottare la stessa tecnologia analitica, oltre ad altri laboratori stranieri che hanno pubblicato risultati indiscutibili sul tema dei residui in derrate (tra cui il miele),

Superficialità dilagante in cultura alimentare

Non è facile scrivere in genere sul tema del "degrado in alimentazione": occorrerebbe scrivere pagine e pagine, senza tuttavia riuscire ad incidere in modo efficiente sulla mentalità e sul comportamento dei "responsabili".
I responsabili del degrado in alimentazione sono nascosti: è difficile identificarli, anzi è quasi impossibile, eliminiamo il "quasi" e ci avviciniamo alla realtà.
Intanto assistiamo alla galoppante crescita dei fenomeni: non più in scienza dell'alimentazione, ma in "cuocheria", termine in tutti i casi meno sconcio di culinaria. L'alimentazione è gestita sui media a dir poco da tutti, se non da più di tutti. I testi sul tema "ricette" proliferano in modo impressionante ed il numero delle vendite supera quello dei "Promessi Sposi", con il risultato di mandare l'italiano a farsi benedire. A chi sa di alimentazione, in senso scientifico, non resta che scrivere sulle riviste d'alta specializzazione scientifica, che il popolo non legge. V'è ormai un muro che separa chi sa da chi si atteggia ad essere.
Ma chi premia il presssappochismo? non si sa. Il mondo sembra assistere in modo passivo al malcostume indotto dai media.
Una mia alunna, giorni orsono, aveva fra le mani un contenitore di plastica contenente del riso già cotto, con della frutta a pezzi frammista al riso. Mi ha detto d'aver acquistato quel suo pasto da un negozio di stazione. Lucro immane da parte di chi vende, inconsistente cultura da parte di chi acquista. Non sono stato in grado di far capire che, con qualche minuto di sacrificio, si potrebbe preparar di meglio a casa propria.
Tento di acquistare un panino: non ho tempo per far su e giù dalla mia abitazione, e decido di accontentarmi. Chi mi prepara il panino al prosciutto, in un esercizio con tante vetrine, taglia il pane con lo stesso coltello con cui ha spalmato pochi istanti prima una salsa su altro panino di altro malcapitato. Il prosciutto da affettare è appoggiato per la parte esposta direttamente su una superficie che contiene residui d'ogni genere, dal salame alla coppa, ecc. Le mani dell'attore sono senza alcuna protezione. Chi taglia la prima fetta (il padrone che ha appena finito di contare i soldi incassati da fornitura precedente), la mangia usando le stesse mani mentre io attendo che il panino possa sottrarsi alla guerra in atto.
Ma non c'è livello che si salvi: in un'ultima verifica chiedo ad un universitario di calcolare il valore delle calorie totali che spettano ad un prodotto che contiene 30% di carboidrati, 12% di proteine e 6% di grassi. La risposta è stata la seguente:
30 + 12 + 6 = 48 calorie
ed alla successiva domanda: "in una porzione di 40 grammi quale è il contenuto di Kcalorie?"
La risposta è stata la seguente:
48: 40 = 100 : x
x = 83,33 Kcalorie
Siamo alle soglie dell'incredibile. forse anche uno dei cuochi televisivi avrebbe tentato di argomentare diversamente.
E non diciamo che la colpa è della didattica istituzionale: è invece solo il disastro del pressappochismo televisivo, che banalizza tutto quanto non è banalizzabile e pretende d'essere strumento di didattica.
Occorrerebbe prima di tutto che il buon gusto degli organizzatori dei programmi televisivi giungesse al punto di eliminare quelle trasmissioni inneggianti ai "successi" cui andrebbe incontro il preparatore di un pasto o di un dolciario che segua le logiche presentate da "docenti" che basano la didattica sulla presunta bella immagine offerta da piatti che null'altro sono se non manipolazioni di prodotti che stanno insieme solo per scena. Ci si riferisce allle cacchette che circondano un piatto di "vellutata" su cui troneggia una triste sarda spinata a sua volta preventivamente arrotolata su un bastioncino di carota alle cui estremità fanno capolino due schizzi di maionese.....oppure un trinciato di verdure di dubbia natura circondato da una crosta di laminato da impasto colorato con curcuma, all'intorno "abbellito" da schizzi di poltiglia derivata da aceto balsamico che sta in piedi con sapienti aggiunte di carragenine e agar-agar.
Ci si chiede se, con una situazione di fame dilagante in Italia, ci siano ancora degli insulsi signori che non potendosi fregiare di croci di guerra, ostentano la loro ricchezza pagando 200 euro ad un imbecille che li intorta con le stelle sulla fronte o su un cartello appeso all'ingresso del ristorante.
Le realtà poi sono quelle di un mercato della "consulenza" offerta da furbi mestieranti della "culinaria", che di Apicio non conoscono neanche il nome, e che vendono "corsi" di cucina a creduloni speranzosi di fortuna a prezzi indegni per una società in malora. Ma questa gente che paga migliaia di euro per disimparare a cucinare perchè non si reca in una periferia di varie città di Sicilia, Puglia e Basilicata, incontrando un'anziana signora che di cucina ne ha fatta per sfamare poveri figli, cui regalare 100 euro in cambio di qualche ricetta?

RAI 3 finalmente divulga notizia su denunciato degrado della qualità di espressione grafica e verbale

Rai 3 ha trasmesso una inattesa notizia, ad inizio di settimana, che ha suscitato l'attenzione di molti: la problematica di cui si parla è quella dell'impoverimento di contenuti e della qualità del linguaggio.
Un gruppo nutrito di persone di cultura ha emesso una sorta di "protesta", attraverso un documento a firma, lamentando il degrado della qualità dell'espressione grafica e verbale cui si ha modo di assistere quotidianemente. Poichè tale considerazione riguarda anche una parte non trascurabile di studenti di scuole superiori e di università, il documento solleciterebbe gli organi preposti alla difesa delle cultura a realizzare interventi opportuni e coordinati a difesa delle lingua italiana.
Fra i promotori del documento, una delle più belle figure della cultura universitaria italiana: Luciano Canfora (Università di Bari). Questo personaggio oggi ben noto come storico e filosofo oltre che cattedra di filologia, frequentava il Liceo Classico Quinto Orazio Flacco di Bari nello stesso periodo in cui chi scrive questa nota frequentava lo stesso Liceo della Sezione D in cui insegnavano Leonida Altomare (italiano), Angelo Cariello (Latino e Greco) e Salvatore Fajella (matematica e fisica).
Fabrizio Canfora, persona di spicco della didattica e della ricerca storico-filosofica, padre di Luciano Canfora, insegnava anch'egli "storia e filosofia" nelle sezioni A e C dello stesso Liceo.
Lo scrivente intanto ringrazia con affetto i suo maestro Mario Caione che sin dalla cattedra di una scuola elementare, pur fredda, umida e dotata solo di smozzicati banchi di legno, imponeva il rispetto della lingua a suon di bacchetta.....magica, con risultati indiscutibili.
fernando.tateo@unimi.it

Troppi eventi formativi di qualità discutibile in scienza degli alimenti.

L'incentivo per esporre pareri nel merito mi vien dato dal contenuto della rubrica "one side" di Sebastiano Porretta, e in particolare dal testo apparso su "La pagina del Presidente" dell'AITA (n.574 di Industrie Alimentari).
Si può essere in disaccordo su tanti aspetti della formazione, ma si concorda pienamente quando di legge:
"....Oggi invece, tutto un fiorire di organizzatori di eventi formativi,
che cercano di simulare, scimmiottare, le attività degli organizzatori
di riferimento più conosciuti utilizzando uno specchietto per allodole
attrattivo fondato sul prezzo o enfatizzando all'estremo inesistenti
claim formativi" (Sebastiano Porretta)
Si ritiene di aggiungere che gli improvvisati della tecnologia degli alimenti hanno abbracciato la logica dell'organizzazione dei "corsi di formazione" ritenendo di fornire all'industria degli alimenti la soluzione meno costosa per risolvere una serie di inevitabili problematiche di produzione e di qualità attraverso la vendita di una didattica a basso costo. In pratica, si ritiene da parte di molti che la didattica sia attività da improvvisare.
Si rivolge un caldo invito all'industria degli alimenti e settori correlati a non cadere in questa trappola dell'improvvisazione. Il consulente del settore dotato di titoli e capacità professionale fornirà certamente il meglio di se soltanto sulla scorta di un incarico personale, e parteciperà tuttavia a corsi "informativi", dando il giusto apporto collaborativo, ma indetti da organizzazioni note e di oggettivo riconosciuto valore professionale.
Mi diceva al tempo un famoso tecnologo, di cui sono stato assistente ordinario, che per insegnare con risultato occorre aver fatto lungo mestiere, visto che per insegnare cosa sia il numero 10 occorre conoscere cosa sia il 100, o meglio il 1000! Chiaro era il riferimento alla comune tendenza all'improvvisazione nella didattica.
fernando.tateo@unimi.it

Guardate questa mela: si chiama ”Red Love”

Questa che vedete è una mela un pò diversa dalle altre: presenta parti rosse anche nella polpa.
Si sta studiando la composizione delle antocianine nella buccia: l'analisi qualitativa delle antocianine della buccia non sembra, dagli studi condotti finora, mostrare caratteristiche diverse da quelle riscontrabli in una comune "Stark delicious".
Sapore?
aggiornamento del 14 gennaio 2017
Le valutazioni sensoriali svolte presso i Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche su Alimenti e Ambiente dell'Università degli Studi di Milano (prof.Fernando Tateo e prof.Monica Bononi) non hanno evidenziato caratteri di particolare accettabilità per la mela ed hanno riscontrato invece parametri che metterebbero invece in luce una interessante possibilità di trasformazione del prodotto in derivati da destinare alla nutraceutica.

Il diserbante ”glifosate” : ricerca dei residui nel miele e studio sull'influenza negativa del diserbo sull' infestazione da Xilella

Il "GLIFOSATE" (glyphosate) è un erbicida (disseccante) non selettivo, caratterizzato da sigla Xi,N (pericoloso per l'ambiente), e con frasi di rischio R41 ed R51/53. Viene largamente usato dagli agricoltori da molti anni per evitare il lavoro di taglio delle erbe prima della semina, anche sotto la vite e gli olivi, o anche nei frutteti. Il suo uso è esteso anche al diserbo dei bordi autostradali, e a vari altri casi.
Brevettato come chelante nel 1964, poi come erbicida nel 1974 ed infine come antibiotico, il glifosate si dice sia capace di formare complessi chelati e di agire come immobilizzante di nutrienti minerali come Calcio, Ferro, Cobalto, Rame, Magnesio, Manganese, Nichel, Zinco:; i macro e microelementi chelati risulterebbero, secondo alcune fonti di informazione di cui occorrerebbe valutare la valenza scientifica, nutrizionalmente inutilizzabili da piante ed arbusti.
La sua formula chimica è la seguente: HO-CO-CH2-NH-CH2-PO(OH)2 con formula grezza C3H8NO5P
Dalla evidenza della formula di struttura, il glifosate risulta essere un analogo amonofosforico dell'aminoacido "glicina": noto è che agisca come inibitore dell'enzima 1-fosfoschikimato-1- carbossiviniltransferasi e fra i danni da esso provocati si annovera quello derivato della distruzione delle fioriture primaverili, con danni diretti per la vita delle api (anche questa affermazione è da valutare opportunamente) e come inquinante per miele e polline.
Attualmente, in ragione del consumo dell'erbicida in quantità stimata in ca 1500 tonn/anno, si sta atttuando una campagna di verifica del danno sul miele, ed i laboratori analitici stanno conducendo esperienze atte alla determinazione quantitativa del diserbante, con tecniche spettroscopiche particolarmente curate, viste le difficoltà poste dalla piccola dimensione della molecola. I Laboratori Floramo Corp: (Giancarlo Quaglia), con i laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sugli Alimenti e l'Ambiente dell'Università degli Studi di Milano (Monica Bononi e Fernando Tateo), stanno sperimentando tecniche altamente sensibili per la determinazione del glifosate nel miele sia nazionale che di importazione. La natura della matrice miele non semplifica la sperimentazione.
Ma risulta a questo punto altrettanto importante verificare se ed in quale misura il diserbo dei terreni sottostanti gli uliveti del Salento può aver causato o contribuito al migliore sviluppo della Xilella fastidiosa che ha invaso una parte cospicua delle piantagioni di olivo. Lo studio della diffusione di Xilella, come già puntualizzato in altra nota precedente, conduce a considerare l'importanza della linfa xilematica, apportatrice di sali minerali, nella vita dell'olivo. Noto che il diserbante in questione avrebbe, secondo alcuni, attività chelante dei sali ninerali, con conseguente inutilizzabilità fisiologica degli stessi, è lecito pensare ad una sperimentazione che possa correlare l'uso del diserbante alla infestazione e danno da Xilella. Lo studio è in corso per attività del Prof.Fernando Tateo, che sta verificando l'effetto immobilizzante del diserbante nei riguardi di una serie di macro e microelementi.
Piace allo scrivente far notare agli sperimentatori del settore che un'azione preventiva all'infestazione da Xilella è intanto da attuarsi proprio attraverso una possente concimazione multiminerale. La correlazione diretta fra disponibilità di sali minerali nel terreno e composizione della linfa xilematica dell'olivo è tutta da dimostrare: se l'effetto chelante del glifosate nei riguardi di sali minerali potrà essere dimostrata, sarà anche possibile correlare tale effetto ad una ridotta attività di difesa dell'olivo all'attacco da xilella.
Il problema si riconduce alla necessità di studio di carattere analitico in tema di: definizione di metodo capace di identificare in modo indiscutibile il glifosate con mezzi spettroscopici non proprio convenzionali e identificazione dei metaboliti del glifosate che possano indiscutibilmente essere ricercati come residui. Tale progetto di ricerca è in corso da parte dei Laboratori di Ricerche Analitiche su Alimenti e Ambiente dell'Università degli Studi di Milano (Prof.F.Tateo e Prof.M.Bononi).
fernando.tateo@unimi.it

Un breve pensiero rivolto al mercato del ”bio”

una montagna di sale nella saline di Margherita di Savoia
Caro "bio", dopo le brutte figure mostrateci da Report, non c'è più niente da dire: è sperabile solo che la tua immagine si ridimensioni.
Mi tocca ricordare ancora una volta che:
1) tutti gli uomini hanno diritto alla sicurezza alimentare in misura uguale, se si è in un mondo civile;
2) la vendita di prodotti alimentari "bio" deve la sua esplosione ad una pubblicità che sottende alla parola "bio" , tra l'altro, l'uso in coltivazione e produzione di una quantità limitata di fitofarmaci e di concimi chimici, non alla presenza di principi nutrizionalmente preferibili a quelli degli alimenti destinati a gente normale;
3) le strutture di certificazione "bio" non hanno la possibilità di "garantire" solo attraverso documenti di filiera o attraverso un numero di analisi chimiche statisticamente non sufficiente, alcunchè di "migliorativo" dal punto di vista nutrizionale;
4) la decantata immagine di "sicurezza superiore" del "bio" non risponde ad alcuna etica: un alimento non può presentare un grado di sicurezza "speciale" perchè il grado di qualità di un alimento prescinde, in un mondo civile, dal grado di sua sicurezza d'uso;
5) una etichetta "bio" non giustifica un prezzo di vendita tanto rincarato rispetto a quello delle produzioni "normali"; l'acquisto di materie prime "bio" a prezzi abnormi non trova alcuna giustificazione se non in un sistema commerciale che rincara l'investimento di produzione, procurando "a monte" un lucro abnorme.
Ci stiamo arricchendo di "brutture" commerciali in qualsiasi campo: anche il sale è stato reso oggetto di posizionamento differenziato, e la gdo ci offre oggi il sale per ricchi e sale per poveri. I più spiritosi vendono addirittura sali derivati da zone del pianeta "irraggiungibili": chi compera queste brutture può convenientemente recarsi piuttosto alle saline di Margherita di Savoia, nel sud di questa Italia esterofila, e prendere coscienza di cosa sia il sale. Siamo quindi giunti al punto di differenziare il sale per ricchi dal sale per poveri. Allo stesso modo come esistono le barrette "bio" per bimbi ricchi e quelle per bimbi diversi, che sarabbero poi quelli poveri, ed esistono i "corn-flakes" per il latte dei bimbi ricchi e quelli per il latte dei bimpi poveri.
Eterno dualismo! Ma non abbiamo ancora potuto affidare schede già votate per il "si" alle classi ricche e con il "no" alle classi povere: e non lo facciamo soltanto perchè il "no" vincerebbe con largo divario, lo sappiamo tutti.
fernando,tateo@unimi.it

Ricordando Caprotti: un genio del mercato degli alimenti.

L'avvento dei "supermercati" nell'alimentare è stato in effetti il primo importante passo verso l'economia condotta a vantaggio di gruppi di potere, con eliminazione sempre più spinta dei piccoli dettaglianti, che offrivano invece la possibilità di accedere a prodotti più diversificati nell'ambito di diversi punti vendita, sulla scelta dei quali interveniva anche una personale capacità di selezione o anche di semplice preferenza, da parte dell'acquirente.
L'avvento della grande distribuzione organizzata nel nostro Paese, con il rispetto di regole di qualità, si deve proprio a quell'uomo che seppe cogliere il momento propizio, quello dell'avvento della tendenza alla globalizzazione e nello stesso tempo alla solitudine: lui ebbe la capacità di intuire le tendenze, e su ciò è impossibile discutere o non riconoscergli ingegno commerciale oltre che capacità di intuizione delle tendenze.
Ricordo di aver ricevuto da lui recentemente un rapporto critico sui sistemi di logistica: era, tra l'altro, un compendio di critiche "essenziali" e concrete, rivolto al futuro. Lo incontrai anche in occasione della scomparsa prematura di un suo "buyer", rispettoso com'era di chi riteneva essere un suo collaboratore, non solo dipendente di fatto. Ne serbo ricordo indelebile: il suo messaggio finale, che comprende il desiderio di non trasferimento della sua "creatura" a possibile acquirente e gestore di altra catena gdo avente diversa filosofia della qualità, è segno della sua determinata volontà di rispetto di una gestione sì moderna del mercato del "food", ma forse non in nome di una tendenza alla degradante solitudine....che un supermercato inevitabilmente produce.
Avrei gradito potergli richiedere parere sulla "eticità" dell'operazione di concentramento degli utili, che i supermercati producono indiscriminatamente a danno di un'economia a sfondo distributivo dei beni, per me più consona ad un paese povero come l'Italia. Certamente avrebbe saputo rispondere come persona intelligente e rispettosa delle idee altrui.
fernando.tateo@unimi.it

Il deplorevole ”anonimato” da bandire nei sistemi che vogliono vendere immagine di qualità

Fra i primi a sostenere in questo Paese la "qualità" nel settore degli alimenti, per tanti anni e tuttora, chi scrive ha sostenuto le logiche della "qualità" intesa come formalizzazione cosciente delle operazioni di gestione sia delle attività organizzative che delle attività più strettamente tecnologiche nel settore alimentare. Fu sempre chi scrive a trasferire nella prestigiosa scuola di tecnologia di Sion (CH) le basi della gestione in qualità delle operazioni di conduzione aziendale.
Sempre chi scrive ha collaborato documentatamente nella realizzazione di metodiche UNI nel settore della chimica analitica degli aromi: la formalizzazione di metodiche analitiche secondo protocolli che garantiscono l'avvenuta sperimentazione è peraltro un aspetto particolare della qualità in analitica. Sempre chi scrive ha voluto per primo promuovere e credere nella certificazione di qualità secondo norme UNI-ISO per i laboratori di ricerche analitiche e tecnologiche gestiti nell'Università in cui tuttora presta attività di ricerca, da sempre. Tra l'altro, sempre chi scrive ha partecipato per anni, su nomina,, alla commissione di verifica di certificazioni di prodotto per un'ente ufficialmente preposto a espletare tali pratiche.
Mi si perdonerà per questa premessa, fatta soltanto per garanzia di competenza dello scrivente sui principi che hanno dagli anni '75 costituito il fondamento della "qualità" certificata.
Per chi l'avesse dimenticato o avuto accesso solo sporadicamente al "perchè" di una gestione in qualità, si fa presente che uno dei fondamenti della qalità di gestione è stato da sempre quello della "palese verità" o meglio quello della formalizzazione delle operazioni con identificazione chiara dei responsabili delle singole attività. Organigrammi precisi di responsabilità gestionale con chiare firme dei responsabili, e formalizzazione responsabile proprio nella gestione di quelle che si chiamano "non conformità" sono stati e sono i presupposti di una conduzione "limpida" di un sistema qualità, che responsabilizza personalmente chi emette un parere, chi definisce o formalizza una convenzione, chi decide del più e del meno.
Se ci guardiamo ancora più indietro, riscontriamo che sempre la buona gestione di un sistema ha punito la codardia e osannato chi non ha temuto di attribuire a chiare lettere a se stesso la paternità di un pensiero o di un'azione. Non esiste invece azione più "stupida" di quella che si compie nell'anonimato. L'attributo di "vigliacco" è immeritato per chi anonimamente esprime un giudizio senza permettere la chiara identificazione di se stesso attraverso una firma: chi non firma, ritengo, ha diritto soltanto all'attributo di "analfabeta". Quello di "vigliacco" è un epitato da attribuire invece al poveraccio che ha paura, che è menomato nell'essere, e che non ha stima di quello che fa perchè consapevole di non saper esprimere verità. Chi ha paura, in definitiva, è un povero disgraziato! Quello di "analfabeta" invece è l'epiteto più appropriato per chi non firma, e tale epiteto è più specificamente meritato da chi non firma e crede di poter raggiungere una posizione sociale soltanto in conseguenza della frequenza ad un corso di studi.
Orbene, pochi sanno che la valutazione della qualità della didattica soggiace nel mondo d'oggi al concorso di giudizio espresso ANONIMAMENTE da una classe nei riguiardi di un docente. I pareri anonimi vengono addirittura valutati con l'onore della statistica...........ma chi è quell'improvvisato inventore di questo sistema di valutazione della qualità? Da vero analfabeta, l'inventore di questo sistema di valutazione della qualità vive nell'anonimato. Fa bene a non vantare con chiara firma la patrernità di un siffatto sistema: non ha avuto tempo di informarsi sui veri fondamenti della qualità, o forse pur leggendo non ne ha capito l'essenza o forse davvero non sa leggere......
Siamo gestiti da un governo che si vanta di voler attuare delle riforme: ma perchè non riformiamo per prima gli analfabeti che credono nel principio della statistica basata su dati forniti da lettere anonime?

Olio di palma e glicidolo: è giustificato tanto allarmismo?

Il consumatore attento avrà considerato non senza meraviglia che molti produttori qualificati di alimenti trasformati, anche di larghissimo uso, non hanno in alcun modo fatto caso all'allarmismo creato dalle notizie diffuse da più parti in tema di "olio di palma".
Troviamo regolarmente in commercio paste alla nocciola spalmabili, con la classica e nota dichiarazione in etichetta degli ingredienti, palma compreso: è quanto dire. Si può ritenere mai che alla direzione di produzione di queste società sia stato assunto recentemente un irresponsabile che sia rimasto insensibile al "grido di dolore" levatosi in ogni parte d'Italia per la notizia sulla tossicità dell'olio di palma? No di certo.
Al consumatore andrebbe data informazione puntuale e non generica. Una cosa è "non sostenibilità, altra cosa è tossicità. Invece si è voluta inculcare nel consumature una sensazione di dubbio sul perchè si parli tanto dell'olio di palma.
Al consumatore occorrerebbe spiegare che i danni prodotti su una materia grassa, quale che essa sia, dipende dall'uso sconsiderato che si fa della materia grassa stessa: il degrado dei trigliceridi costituenti appunto gli oli ed i grassi, si producono in misura correlabile al trattamento termico subito dai trigliceridi nelle fasi di lavorazione o di uso. Non in tutti i casi un grasso d palma è sottoposto a stress termico e quindi, almeno in principio, non si può gridare indiscriminatamente allo scandalo ed all'incuria per la salute del consumatore.
Strano è invece che gli stessi organi di malainformazione non facciano delle sortite in friggitorie da strapazzo ove l'olio di frittura subisce solo "rabbocchi" e non "sostituzioni" a tempo debito. E' in tali casi che si dovrebbe piuttosto gridare allo scandalo in tema di sicurezza del consumatore, e solo nei casi in cui le condizioni d'uso si possono considerare inadeguate.
L'EFSA ha menzionato i glicidilesteri (GE) degli acidi grassi insieme al 3- e 2 -MCPD (monocloropropandiolo) fra i composti che possono riscontrarsi negli oli raffinati ma non ha affermato che siano solo gli oli di palma a presentare tale inconveniente.
V'è anche da aggiungere, doverosamente, che non si può parlare in assoluto di oli-grassi raffinati di palma come unici possibili apportatori delle sostanze prima menzionate: sono le operazioni spinte di raffinazione e in generale i trattamenti termici a potersi considerare come causa primaria di degradazioni più o meno spinte.
In merito alla presenza di glicidolo come tale negli oli vegetali che hanno subito trattamento di raffinazione, occorrerebbe eseguire tutta una serie di esperienze atte a definire un paragoine quantitativo di valore generale fra gli oli di cocco, arachide, girasole e palma prima di poter definire quest'ultimo come responsabiule di potenziale maggior veicolante di sostanze tossiche da degradazione ad alta temperatura. Occorrerebbe maggiore informazione puntuale prima di fare affermazioni di "scale di pericolo": ad oggi tale larga sperimentazione non è disponibile.
I Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sugli Alimenti dell'Università di Milano hanno recentemente iniziato a svolgere lo studio comparativo di cui si è detto. attraverso la verifica analitica dell'effetto degradativo delle condizioni jnadeguate d'uso su vari oli vegetali.
Intanto v'è già chi cavalca l'onda della disinformazione proponendo alternative: si parla di "olio di girasole ad alto contenuto di oleico". In pratica, l'industria di un certo tipo propone di sostituire l'olio di palma con un olio di girasole a cui si vuol attribuire immagine attraverso l'arricchimento in acido oleico, l'acido grasso "principe" dell'olio di oliva. Ma non si tratta di arricchimento in acido oleico attraverso l'addizione di olio di oliva, si badi! Si tratta di ben altro processo, su cui non è il caso di entrare in merito in questa sede perchè questa nota non vuole risultare distruttiva dei tentativi altrui, vuole solo informare correttamente. Ciò significa dire che l'olio "alternativo" che si propone non è assolutamente tale da sottrarsi a quelle comuni degradazioni a cui sono soggetti gli altri oli vegetali quando sono sottoposti a prolungati trattamenti termici o a temperature inadeguate.
Per completezza: il glicidolo è un alcol perossidato derivato dalla glicerina, derivabile da degradazione dei trigliceridi. I glicidil-esteri sono solo dei derivati del glicidolo, sempre derivati dalla degradazione dei trigliceridi.
Fernando Tateo & Monica Bononi
Università degli Studi di Milano

Mostarda di frutta: occorre riportare in etichetta l'indicazione corretta sulla natura dell'aroma.

da ”Vignevini” Anno III - n.5 - maggio 1976, pag. 19
Nel numero 5 del Maggio 1976 (anno III) della rivista “Vignevini”, e in particolare nella sezione “Ricerca e tecnica viticola ed enologica” a pag. V/19, compariva un lavoro di Fernando Tateo (Istituto di Tecnologie Alimentari – Università degli Studi – Milano) dal titolo seguente: “Determinazione per GLC dell’isosolfocianato di allile nelle pastiglie antifioretta”.
La prima pagina dell’articolo e un particolare di gascromatogramma pubblicato nell’articolo stesso compaiono a fronte della presente nota.
Il lavoro citato prendeva le mosse da una considerazione ben chiara. In “premessa” infatti l’autore scriveva:
“A tutt’oggi non risulta ancora pubblicato un metodo ufficiale per la determinazione dell’isosolfocianato di allile nei supporti paraffinici per uso enologico. Tuttavia in letteratura sono descritti alcuni metodi analitici per la determinazione del titolo in I.S.A. dei semi di senape nera e degli oli di mostarda. Il metodo analitico suggerito per i semi di senape nera è però destinato al controllo delle caratteristiche prescritte per tali semi dalla F.U., mentre il metodo considerato solo più soddisfacente nel volume I° di The Essential Oils del Guenter per la determinazione negli oli di mostarda è in sostanza una modificazione della The United States Pharmacopoeia. Ambedue i metodi analitici citati in pratica fondano il loro principio sulla formazione di isosolfocianato di argento per reazione dell’ISA con nitrato di argento in ambiente ammoniacale. Anche il metodo volumetrico suggerito dall’AOAC per la determinazione dell’ISA nei semi di senape è basato sulla distillazione di una soluzione idroalcolica contenente i semi triturati e sulla raccolta del distillato in soluzione ammoniacale (l’I.S.A. somma infatti ammoniaca con formazione di monoallil-tiourea): tale soluzione viene poi riscaldata all’ebollizione dopo addizione di un eccesso noto di nitrato di argento ( al fine di far agglomerare l’Ag2S) e dopo acidificazione si titola Ag+ ancora libero con soluzione a titolo noto di NH4NCS.”
A causa della scarsa riproducibilità dei metodi citati, l’Autore F.Tateo proponeva e descriveva nell’articolo un metodo gascromatografico, dettagliando le condizioni operative da adottare ed i calcoli da effettuare per la determinazione quantitativa.
Quanto precede vale a ricordare che le problematiche della determinazione quantitativa dell’isosolfocianato di allile riguardavano già quarant’anni orsono distinte matrici, a diverso impiego. Il D.M. 12.03.1968 consentiva infatti l’uso di isosolfocianato di allile sotto forma di essenza naturale di senape solubilizzata in supporto di paraffina in concentrazioni chiaramente e distintamente limitate in funzione della dimensione dei supporti paraffinici per uso enologico, e la proposta e pubblicazione di un metodo quantitativo dotato di buona ripetibilità risultava quindi operazione ben accetta dal mondo industriale.
Le metodiche di identificazione della natura (origine) delle sostanze organiche sono state invece solo molto recentemente rese accessibili, con strumentazioni il cui impiego è basato sullo studio dei rapporti isotopici “13C/12C” spesso ben differenziati fra una molecola di derivazione biologica (detta naturale) e di derivazione sintesi (detta natural-identica). Una tecnica a questo scopo oggi oggetto di applicazione è quella realizzabile attraverso I.R.M.S (Isotopic Ratio Mass Spectrometry). Ma anche la tecnica NMR, consentendo di identificare l’arricchimento isotopico in posizioni preferenziali della struttura chimica di molecole naturali, ha dato impulso alla ricerca in tema di differenziazione della loro origine (e quindi della differenziazione fra naturali e natural-identiche).
Logico è che, visto il Regolamento U.E. 1334/2008 che sancisce l’uso differenziato di denominazioni di etichetta per le sostanze aromatizzanti nel food in funzione della natura delle diverse molecole utilizzate, la tecnica IRMS e quella NMR siano divenute di quotidiano uso in analitica da parte dei gruppi di ricerca più avanzati
La bibliografia mondiale è ricchissima di migliaia di pubblicazioni scientifiche ad alto livello che descrivono sperimentazioni condotte su molecole e matrici alimentari di più comune o di più raro interesse applicativo. La finalità di fondo di tali studi è quella della conoscenza della materia, che finisce per diventare inevitabilmente il mezzo più oggettivo di caratterizzazione di quanto si può definire “naturale”: la corsa verso il food più naturale del naturale, per le etichette caratterizzate da un numero sempre meno ricco di additivi E, per i prodotti “bio” e di nicchia è il messaggio di un mondo che vuole garanzie ed informazione. Le normative non possono se non assecondare tale richiesta e si adeguano inevitabilmente, incentivando la ricerca scientifica sempre più spinta, imponendo standard di qualità perseguibili solo attraverso tecniche di verifica di grande complessità ma che offrono risposte al livello della richiesta.
Il fiorire di studi nel senso esposto finora è dimostrato anche da quanto pubblicato da grandi centri di ricerca nel nostro Paese ed altri Paesi Europei: si citano esempi recenti di studio di metodiche sulla differenziazione fra vanillina da bacche e vanillina di sintesi (1), sulla identificazione di acido citrico da succo di limone e acido citrico di altra origine (2), sulla differenziazione fra zuccheri naturali del miele e di zuccheri aggiunti di altra origine biogena (3), e su centinaia di altre applicazioni delle tecniche NMR ed IRMS che non è il caso qui di elencare.
L’approccio a buoni standard qualitativi, in particolare per i prodotti di nicchia, è perseguito a ragione anche dalle strutture regionali, ed anche attraverso disciplinari ben strutturati. Ritornando a trattare del tema oggetto di questa nota, vale la pena di citare a puro titolo di esempio una pubblicazione del Consorzio Agrituristico Mantovano in tema di “mostarda”, che informa in modo puntuale su nomenclatura, storia e contenuti di questa meravigliosa antica creazione.
La salsa a base di senape, si dice chiaramente nella pubblicazione, è quella “universalmente conosciuta come mustard (inglese) e moutarde (francese)”. In Italia invece viene chiamata semplicemente senape”(pag.7)
La mostarda (mustum ardens) deriva invece…. “dalla consuetudine di preparare un composto di mosto dolce, senape ed aceto. Nei secoli, alla senape o mostarda sono stati aggiunti numerosi ingredienti quali spezie, peperoncino, vaniglia, acqua di fiori d’arancio, capperi acciughe, champagne” (pag.8).
Ancora a pag. 9 si legge che “…la mostarda italiana ..prevede la presenza di frutta candita e sciroppo, a cui viene aggiunta una quantità di senape che può variare di regione in regione e di famiglia in famiglia……in Lombardia è da annoverare la mostarda di cremona, preparata con vari tipi di frutta canditi in sciroppo piccante, per lo più mele, pere, pesche, fichi, ciliegie, meloni, zucca, con aggiunta di scorze d’arancia e di cedro anch’esse candite. La mostarda veneta si differenzia invece per la consistenza della frutta, che non è a pezzi ma passata. La mustarda astigiana è caratterizzata dalla presenza di mosto, mele cotogne, noci zucchero e frutta secca o fresca, ma qui si perse ogni traccia della senape”. Il D.M. 350/99 destina spazio nei prodotti tradizionali di qualità alla mostarda mantovana di fattoria.
In merito alla “conservazione”, a pag. 13, si dice che “secondo alcuni la mostarda non andrebbe conservata in frigorifero; lo zucchero e la senape agirebbero infatti come conservanti…è bene conservare la mostarda nel giro di breve tempo, se non si vuole perdere la sua piccantezza: l’olio essenziale di senape è volatile e si affievolisce con il passare dei giorni…dopo circa sei mesi dalla produzione, esso inizia ad indebolirsi…”.
A pag. 15 si parla delle molte applicazioni della senape: “artriti…. stimolante dell’irrorazione sanguigna…. attiva il metabolismo dei tessuti….agisce favorevolmente sulla circolazione del sangue….valenza rituale e simbolica….”
Ma a pag. 16 la pubblicazione del Consorzio è ancora più puntuale e corretta: si fa chiaro riferimento alla via metabolica di produzione dell’isotiocianato di allile che è responsabile del gusto piccante della senape. Si spiega chiaramente che l’ “olio essenziale di senape sintetico” viene ottenuto per reazione fra cloruro di allile e tiocianato di potassio, mentre ciò che si ottiene per distillazione dei semi da Brassica nigra o Brassica juncea si chiama “olio di senape naturale”.
A questo punto è necessaria una riflessione: fra olio sintetico e olio olio naturale non v’è nessuna possibilità di confusione, da parte di alcuno, produttore o consumatore che sia.
A pag. 27 della pubblicazione promossa dalla Regione Lombardia, si legge quanto segue in merito alla “mostarda mantovana tradizionale di fattoria”.
“…la sua specificità è tale perché si tratta di un prodotto di fattoria, ottenuto prevalentemente dall’attività della propria azienda, senza alcun ricorso a frutta semilavorata proveniente dall’estero, surrogati o a sostanze chimiche, trasformato in azienda dagli stessi agricoltori, seguendo i tempi e gli usi delle ricette tradizionali delle famiglie rurali. Un grande patrimonio culturale ed una straordinaria opportunità economica per molte aziende agricole orientate alla multifunzionalità. La mostarda mantovana tradizionale di fattoria non si limita però a rispettare i metodi tradizionali di produzione, ma cerca di far ricorso a tutti quegli interventi che possono farla diventare sempre più genuina, per rispondere meglio alle aspettative dei consumatori attenti alla sicurezza alimentare, alla qualità delle nutrizione ed alla sostenibilità ambientale….così si utilizza solo olio naturale di senape e non prodotti di sintesi quale l’aroma di senape; si impiegano limoni non trattati ed esenti da maturanti….”.
A pag. 17, ove inizia la sezione “come si prepara la mostarda mantovana passo a passo”, vengono elencati gli ingredienti da utilizzare e di fatto si indica possibile sia l’uso del sintetico che del naturale per l’aromatizzazione ed il conferimento del tono piccante alla mostarda. Ciò comunque in difformità a quanto detto a pag.27 (uso di solo olio naturale di senape per la mostarda tradizionale di fattoria).
Orbene, stante l’obbligo di rispettare il Regolamento UE 1334/2008 sulle sostanze aromatizzanti, ed il Regolamento UE 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, che logicamente non fanno “eccezioni” per la mostarda mantovana tradizionale o meno, risultano molteplici le dizioni di etichetta presenti sul mercato che non si possono considerare “conformi” perché il termine “senape” (che richiama un’origine ben distinta) non è associato alla dichiarazione di “aroma naturale”. Solo se la senape come tale viene utilizzata come ingrediente, è possibile evitare la dizione "aroma naturale di senape".
Perché si possa usare per l'aroma la dizione che fa riferimento alla senape, occorre che l'aroma stesso sia totalmente di origine naturale (prodotto dai semi o dall'olio essenziale o da altri composti di origine naturale) e che almeno il 95% dei componenti dell'aroma utilizzato derivi proprio dalla senape.
Con le metodiche analitiche a cui si è fatto cenno è intanto possibile differenziare fra “aroma”, “aroma naturale” e “aroma naturale di senape”. Se l'aroma utilizzato non è almeno per il 95% derivato da senape, ma è comunque totalmente prodotto con sostanze naturali e non di sintesi, si deve infatti utilizzare la sola dizione "aroma naturale". Se l’aroma utilizzato è costituito da isosolfocianato di allile di origine sintetica, pur se in miscela con altri aromi naturali, è consentito l’uso in etichetta della sola qualifica “aroma”. Non altre dizioni rocambolescamente prodotte e capaci di confondere le idee del consumatore sono accettabili.
In sostanza, il Regolamento UE 1334/2008 premia chi non utilizza l’isosolfocianato di allile di sintesi per la produzione di alimenti, e pertanto gli utilizzatori di aromi naturali di senape devono in sede di acquisto assicurarsi che il fornitore di aromi (industria o dettagliante che sia) garantisca l’identità della tipologia dell’aroma perché questo sia conforme alla scelta dell’utilizzatore/trasformatore.
Se consentito da un disciplinare, l’uso di isosolfocianato di allile di sintesi deve intendersi comunque come impiego di “aroma”, senza riferimento alcuno alla senape, sempre in forza del Regolamento UE 1334/2008.
A proposito di disciplinare, sempre in internet, è presente una pubblicazione ove è incluso il disciplinare di produzione della comunità del cibo della mostarda mantovana. Il riferimento è il seguente: http://www.slowfoodbassomantovano.it/comunita-della-mostarda/. In merito a "ingredienti e preparazione" (art. 5) è esplicitato che "riguardo la senape, sono ammessi sia l'olio essenziale di senape, che l'essenza di senape (senape di sintesi)". Ciò riafferma quanto già richiamato con la pubblicazione del 2015 "La mostarda mantovana di fattoria" alla pagina 17. Il riferimento internet a tale pubblicazione è il seguente: http://www.agriturismomantova.it/upload/files/articoli/465/Guida_Mostarda_OTT2015.pdf.
Il modulo di richiesta di adesione alla comunità del cibo mostarda mantovana (slow food basso mantovano), per ulteriore informazione, prevede la dichiarazione della tipologia di ingrediente senape utilizzato; le alternative proposte sono: di sintesi o olio essenziale.
Da molti anni, come già accennato, le metodiche di differenziazione fra molecole di origine biologica e molecole di sintesi sono oggetto quotidiano di studio. La problematica dell’isosolfocianato di allile è oggetto di studio da 40 anni, con tecniche aggiornate da F. Tateo e M. Bononi (UniMi).
Bibliografia
(1) M. Bononi, G. Quaglia, F. Tateo
Easy Extraction Method To Evaluate δ13C Vanillin by Liquid Chromatography−Isotopic Ratio Mass Spectrometry in Chocolate Bars and Chocolate Snack Foods.
Journal of Agricultural and Food Chemistry, 63, (19) 4777-4781 (2015).
DOI: 10.1021/acs.jafc.5b02136
(2) M. Bononi, G. Quaglia, F. Tateo
Preliminary LC-IRMS characterizationof Italian pure lemon juices and evaluation of commercial juices distributed in the Italian market.
Food Analytical Methods, 2016 - DOI 10.1007/s12161-016-0479-5)
(3) H. Chen, C. Fan, Z. Wang, Q. Chang, W. Wang, X. Li, G. Pang
Evaluation of measurement uncertainty in EA-IRMS for determination of δ13C value and C-4 plant sugar content in adulterated honey.
Accreditation and Quality Assurance, 18, 351-358 (2013).

da ”Vignevini” Anno III - n.5 - maggio 1976, pag. 21
Finalmente l'lintervento del Procuratore capo di Lecce sul tema Xilella fastidiosa
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Un olivo colpito da xilella emette nuovi germogli in campagna di Matino (Le)
Ascoltando la trasmissione "Presa Diretta" del 17 gennaio 2016 su Rai 3 si prova un senso di riconoscenza piena per l'intervento della magistratura sulla faccenda "Xilella Fastidiosa": logicamente non perchè l'indagine ha condotto a identificare degli indagati, ma perchè dalla voce di un magistrato è stato diffuso un risultato di sperimentazione che avrebbe consentito di generare dubbio sulla opportunità di produrre interventi devastanti a carico degli alberi di olivo, basando il tutto su conclusioni non certe. Non è certo, infatti, che sia la Xilella l'unico possibile agente capace di provocare il fenomeno di essiccamento.
Finalmente in corso di trasmissione si è sentito parlare di stato di abbandono delle coltivazioni, o quanto meno della scarsa cura tenuta nella cura degli olivi da parte di molti, e per anni. Finalmente, inoltre, si è detto che la Xilella è presente anche in alberi che non presentano il dissaccamento e che la Xilella non è stata identificata come infestante in alberi che mostrano disseccamento evidente.
L'intervento della Comunità Europea sarebbe quindi da considerare non certamente risolutivo. D'altra parte molti cittadini U.E. confondono ancora lìolio d' oliva con l'olio minerale. La decisione di distruzione degli alberi circostanti quelli chiamati "infetti" può derivare soltanto da chi non sa che alcuni sperimentatori hanno ottenuto risultati interessanti in senso risolutivo del problema semplicemente attraverso interventi di cura non radicale ma intelligente: distruzione limitata alle parti evidentemente secche e attuazione di concimazioni minerali. Se ne è accennato anche in questo sito web da tempo.
Si coglie l'occasione, da parte di chi scrive, per considerare ancora una volta quanto sia diffusa nel Salento la cattiva cura da parte di molti proprietari e/o coltivatori per le "proprie" olive. Lo smisurato interesse per gli interventi di "integrazione" ha condotto per anni a produrre olio lampante e non olio extra vergine nella zona. Basta considerare lo stato di arretratezza dei sistemi che si ha modo di rilevare negli interventi di "raccolta" per piangere sulla sorte di terreni che non si immagina come possano produrre ancora qualcosa.
fernando.tateo@unimi.it

Formaldeide: interventi di prevenzione nell'ambiente e nel food

La formaldeide è stata classificata nel Regolamento (UE) n. 605/2014 del 5 giugno 2014 come un cancerogeno di Categoria 1B/2 mentre dal Regolamento CE n.1272/2008 del 16 dicembre 2008 era stata inclusa come cancerogeno in Categoria 2/3
Risultando quindi in categoria 2 secondo la classificazione fornita dal Decreto Legislativo 3 febbraio 1997, n. 52 in quanto equivalente a composto di categoria 1B del Regolamento (CE) n. 1272/2008, la formaldeide ricade nel campo di applicazione dell’Art. 234, lettera a, comma 1 del D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Ma la formaldeide risulta presente nell’Allegato II del Reg CE 1333/2008 sugli additivi per alimenti come “esametilentetrammina E 239” e cioè in forma di derivato azotato, classificato come prodotto ad azione conservativa. La DGA della formaldeide è riportata come dimensionata su 0,15 mg/Kg p.c.
Oltre all’impiego in “non food” d’ogni genere quali adesivi, resine, carte, imballaggi, moquettes, truciolati, colle e mille altri derivati industriali, la formaldeide è possibile prodotto di cessione ad alimenti da materie plastiche per packaging secondo il Reg.EC 2002/72 e succ.agg.
La determinazione analitica delle formaldeide è quindi oggetto attuale di interesse sia per la prevenzione in esposizione sia per la prevenzione in alimentazione e packaging. Uno studio analitico applicato a problematiche attinenti alla più vasta serie di matrici, nel campo del food e del non food, è stato svolto dai Prof. Fernando Tateo e Monica Bononi del Di.S.A.A. – UniMi – Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sugli Alimenti e l’Ambiente. Nell’ambito della collaborazione scientifica in atto formalizzata con i Laboratori SAVI & SERVICE srl di Mantova, i Laboratori del Di.S.A,A. hanno in corso la validazione dei processi analitici più avanzati da adottare da parte di Savi Lab. per la prevenzione che la nuova posizione di classificazione della formaldeide impone nel mondo della produzione industriale.
Negli anni trascorsi F.Tateo e M.Bononi hanno raccolto dati utili alla valutazione del rischio d’impiego della formaldeide quale additivo impiegato in alcune tipologie di formaggi, in conserve di pesce ed altri alimenti oltre che nel settore delle cessioni da packaging. Da fonti web paraltro si deduce che la formaldeide è stata utilizzata in campo farmaceutico nella preparazione di vaccini, mentre è conoscenza comune quella della esametilentatrammina impiegata con la denominazione di urotropina per il trattamento antimicrobico delle vie urinarie. Altro impiego comune è stato quello destinato all’uso in pasticche per il trattamento come antisettico del cavo orale.

A proposito di oli di oliva ”extravergine”

I quotidiani hanno divulgato giorni orsono la notizia del reperimento in mercato di oli di oliva con dichiarazione "extravergine" indebita. Sul sito web di "Ars Edizioni Informatiche" a proposito di "Informazione Alimentare" compare da qualche giorno una news a firma di Fernando Tateo che esprime parere di inopportunità di divulgazione di notizie "scoop" senza sufficiente argomenazione tecnica sulla specifica problematica.
Fra le notizie riportate a carico di prodotti "illecitamente denominati extra-vergine" v'è quella della menzione di esami "sensoriali" i cui risultati non sarebbero risultati positivi per la classificazione "extra vergine".
Questa breve nota non vuole disconoscere il significato degli esami comunemente detti "organolettici", previsti fra quelli voluti dalle norme di classificazione degli oli di oliva, ma certamente limitarne il significato. Indici chimici ben più significativi sono previsti dalle norme per un giudizio, ma non ne ho rilevata precisa menzione.
In questo ed in altri campi dell'informazione si commettono quotidianamente errori in nome proprio della " liberta' di informazione". Perchè un'informazione sia utile (il suo costo ne impone l'utilità) occorre che assolva in primo luogo al compito di migliorare la consapevolezza del lettore su fatti e argomentazioni relative ai fatti stessi, che possano però essere utili per il lettore. Nel caso specifico, sono mancate proprio le informazioni utili sulle dinamiche della produzione e sui relativi costi, oltre che sul sistema della "battaglia dei prezzi" che la GDO ha inevitabilmente instaurato. Senza voler ripercorrere le tappe di quanto già detto, concludo su una considerazione di ordine generale: le informazioni, quando non sono accompagnate da riferimenti alle dinamiche del mercato, ai costi di produzione, all'informazione sui prezzi minimi che una qualità impone, hanno solo il sapore della volontà di discredito del nostro Paese nei confronti di altri che hanno ben poco da insegnare a noi, almeno in alimentazione.
Ma questa tendenza al disfattismo generale si nota anche nel trasmettere, con accento abnorme, le notizie su morti violente, stupri, appropriazioni indebite, ecc. che i media propongono con dovizia di particolari inutili ogni giorno. Ma che volto l'Italia offre a chi la conosce attraverso la cronaca? Quale utilità per il consumatore?
E se si cambia canale ci si imbatte in notizie altrettanto inutili: i viaggi di molti che ci rappresentano e le "previsioni" in % su ipotetiche elezioni espresse anche con valori che vanno oltre la cifra intera. Uno studente mi ha chiesto giorni orsono se le norme di significatività statistica che ci affanniamo a trasmettere nel campo dell'analitica siano o meno da considerare valide anche nel momento in cui si comunica che il partito "X" gode di simpatia da parte del 40,2 % degli italiani. Ci aspettiamo a questo punto che, a riprova dell'efficienza di informazione, le previsioni di gradimento per un personaggio o un partito siano espresse con quattro cifre decimali.
Intanto si divulgano notizie sulla "non italianità" di oli extra vergine reperiti in Puglia. Ma con quale criterio ci si meraviglia di ciò se proprio l'UE permette e incrementa l'importazione agevolata sul nostro territorio di oli di oliva tunisini, ad esempio? La stampa non fa menzione sufficiente in tema di provvedimenti UE che non sortiscono se non l'effetto di incentivare ad inottemperanze nella produzione e nell'etichettatura degli oli di oliva.
fernando.tateo@unimi.it

Ricerca e Sviluppo di tecnologie di trasformazione per la rivalutazione del comparto oleario pugliese

In Sannicandro di Bari sabato 10 ottobre si è tenuto un "convegno tecnico" organizzato per gli operatori del settore oleario dal Responsabile Sportello Agroalimentare del Comune di Sannicandro, Dott. Nicola Orlando.
Ha moderato gli interventi il Dott. Vittorio Filì, Presidente della Associazione Regionale Pugliese Tecnici e Ricercatori in Agricoltura, con la presenza del Commissario Prefettizio Dott. Francesco Tarricone.
Sono intervenuti due relatori: il Dott. Luigi Caricato (Olio Officina Magazine) e il Prof. Fernando Tateo (Università degli Studi di Milano).
Il prof.Tateo ha sviluppato il tema dell'innovazione di prodotto come mezzo fondamentale per la rivalutazione dell'economia pugliese e per incrementare la proposta su nuovi mercati.
Il comparto del "trasformato" in olivicoltura costituisce solo in Italia una "nicchia" di sfogo nella diffferenziazione della commercializzazione delle olive, laddove su una produzione mondiale di olive da mensa di dimensione pari a poco più di 2 milioni di tonn./anno, nel nostro Paese si stima una produzione che lambisce attualmente le 90.000 tonn/anno. Stando a tali dati la produzione italiana costituisce meno del 5% della produzione mondiale di olive da mensa.
Il confronto con i dati di altri Paesi mostra quanto sia necessaria una rivalutazione della produzione nazionale in senso quali e quantitativo: la Spagna copre il 25% delle produzione mondiale con 480.000 tonn./anno e financo la Grecia cvopre una poroduzione di trasformato pari a circa il 6% della produzione mindiale.
Circa il 48% della produzione mondiale di olive da tavola deriva nell'insieme da Egitto, Turchia, Marocco ed Algeria (950.000 tonn./anno), mentre sollo il 32% è coperto nel mondo dalla produzione derivante dall'U.E.
Solo l'Italia potrebbe competere con i Paesi oggi costituenti la maggior forza produttrice delle olive da mensa in quanto la percentuale di trasformazione delle olive in olive da mensa in Italia è solo del 2,5% ca. Della peecentuale totale "mondiale" di olive si stima che le olive da mensa costituiscono il 3,8-4.0% .
Con riferimento alle reginoni produttrici, il 41,7 % della produzione nazionale compete alla Sicilia seguita dal 26,5% della Puglia, dal 15,2 % della Calabria e dal 15% del complesso delle altre.
Altro dato da considerare è quello dei consumi: l'area di maggior consumo nel mondo è quella della U.E. Ciò la dice lunga sulla mancata programmazione delle nostre risorse in agricoltura: siamo quelli che trasformiamo meno, come si è visto prima, non siamo i primi neanche in Italia e con la UE non sappiamo che si identifica l'area di maggior consumo nel mondo!....Siamo alla ricerca di sfogo di mercato per l'olio di oliva e non sappiamo che abbiamo il più grande mercato per la recettività del trasformato in olive da mensa proprio al nostro fianco.
La ricerca delle cause fondamentali di quanto espresso prima è presto fatta : prima causa è quella della disinformazione sui consumi e della disinformazione sui trend di consumi. Causa non accessoria è quella della non razionale scelta dei motori di divulgazione della qualità: si affida infatti al packaging il messaggio sul prodotto e la divulgazione di claims. Il contenuto dei claims è affidato a rabberciate informazioni sulla "qualità" nominale con una altrettanto trascurata attenzione per i claims nutrizionali, oggi invece trainanti. Cosa si è fatto per adottare claims nutrizionali affidati ai molti componenti dell'oliva di cui si conosce a malapenza solo la resa di in olio ? La ricerca è ferma al vanto del contenuto in polifenoli, composti che spesse volte vengono solo considerati come dei deterrenti nei processi di smaltimento delle acque di vegetazione. La ricerca continua ad incentrarsi sulla ricerca di microcomponenti al fine di combattere le frodi da taglio con oli di olive origine diversa dalla nostra.
Presso i Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sugli Alimenti (Di.S.A.A. - Università degli Studi di Milano) la ricerca si sta dirigendo attualmente verso la valutazione delle frazione proteica e verso lo sviluppo di nuovi trasformati dell'oliva, appetibili quanto inimmaginabili.
Ciò si fa in considerazione della necessità di approfondire il discorso su:
a) creazione di filiere certificate rigorosamente per la materia prima;
b) promozione della ricerca sulla qualificazione nutrizionale;
c) ricerca e sviluppo per la creazione di nuiovi derivati;
d) innovazione nei processi di trasformazione in semilavorati;
e) formazione per i quadri addetti industrialmente all'innovazione nel prodotto finito.
fernando.tateo@unimi.it

Uva? Altri problemi emergenti.

Sul web si è avuto modo di leggere recentemente sulle problematiche esposte da produttori di uva di varie zone: non solo in Puglia, ma in Svizzera, Austria..... Alcune coltivazioni di uva da tavola e da vino hanno dato origine a crescita ridotta, con difetti/malformazioni a carico di grappolo e foglie. Naturalmente alcuni produttori hanno ricercato la causa nei trattamenti di nuova istituzione a cui hanno dato accesso.
Sulla situazione che si è venuta a creare lo scrivente ha espresso parere sul sito istituzionale www.foodchem.it
Questa nota verrà implementata nei giorni futuri dallo scrivente. Se qualcuno dei lettori volesse intervenire potrebbe inviare il suo testo al seguente indirizzo:
fernando.tateo@unimi.it

Le ciliege ”Ferrovia” e l'indifferenza delle Istituzioni nella protezione del mercato
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Ciliege ”Ferrovia”in agro di Conversano (foto di Andrea Vitto)
La notizia ha raggiunto anche l'aula del Senato: per inattuazione di opportuni provvedimenti protezionistici e per disattenzione delle associazioni di categoria, nella zona di produzione delle ciliege "Ferrovia" (Turi, Sammichele, Putignano, Conversano, Rutigliano, Adelfia) il mercato delle ciliege è depresso a tal punto da convincere i produttori a rimostranze estreme, come quella di scaricare nelle piazze il contenuto di "camions" di ciliege, per le quali si attua ormai un prezzo di vendita di 0,8 Euro/kg.
Ho ascoltato attraverso Radio Radicale una "diretta" dal Senato in cui il Sen. Liuzzi parlava dell'argomento. Il mancato freno alla concorrenza di Grecia, Turchia ed altri del Mediterraneo costringe i produttori di Puglia a svendere le ciliege della pregiatissima varietà "Ferrovia" a prezzo che non ripaga delle spese di coltivazione e raccolto. Solo un prezzo di vendita di 2,8 Euro/kg compenserebbe le spese che si sostengono per la produzione.
Può suscitare interesse la denominazione "ferrovia" per una varietà di ciliege. Non posso ritenere si abbiano di ciò spiegazioni certe ma secondo alcuni una denominazione più corretta dovrebbe essere "ciliegia ferrovia di Turi" in quanto sarebbe varietà comparsa a Turi nel secolo scorso: in considerazione del fatto che fosse particolarmente resistente per la sua struttura, sarebbe stata la varietà più agevolmente trasportata per mezzo del treno (la denominazione locale più comune della strada ferrata è quella di "ferrovia"). Secondo altri, tale varietà sarebbe comparsa a fianco della "strada ferrata" Bari-Locorotondo che negli anni 30-40' iniziò a collegare quei paesi del Sud.

Contro la globalizzazione in alimentazione.
P.Finoglio (Museo di Conversano) - Duello fra Argante e Raimondo
Venerdi 29 maggio: su invito, tengo una relazione/parere sul tema della globalizzazione in alimentazione e accetto. Bello il luogo, un liceo classico nel centro di Monza. L'invito parte dalla presidenza del Club UNESCO di Monza (Gen. Filippo Carrese) e mi precedono altri relatori.
Una dotta persona intrattiene per prima il pubblico, costituito prevalentemente di liceali, su Agilulfo e Teodolinda: ci spiega come fosse ideale comune ai due quello della pacificazione e della fusione fra i popoli.
Un secondo relatore, dall'eloquio sciolto e gradevole, giunge a enfatizzare la funzione dell'EXPO come parallela a quella etica della fratellanza fra popoli: visione cattolica, tutt'altro che riprovevole, articolata in tratti semplici ed essenziali.
Mi sembrava avessero già detto tutto, non sarebbe stato più necessario il mio intervento ma non rinuncio.
Quello dell'opportunità di allargare il concetto di globalizzazione e pacificazione all'alimentazione è tema articolato e discusso. Ricordo di aver spiegato già al buon Filippo, quando a suo tempo mi aveva invitato a presentare una nota all'evento, come i miei interventi siano il più delle volte dissacranti quando non credo ad un tema predefinito.
Non posso far altro che ricordare un mio maestro d'università, che mi parlava del vero significato dell'entropia, tanti anni fa e mi lascio andare sulla scia di quel ricordo. < L'entropia dell'universo è in continuo incremento>, spiegava lui affanosamente: <....e l'entropia è una funzione che è misura del disordine e non dell'aggregazione>. Se il creatore dell'Universo ha creduto opportuno definire l' "entropia" e far sì che l'uomo e l'universo siano guidati da questo principio, non ha creduto opportuno creare un solo continente aggregato e circondato da acqua, ma ha disperso i continenti stessi, non ne ha fatto uno uguale all'altro. Di Italia ne ha fatta una sola, diversa dalla Germania più che altro, ma diversa anche da tante altre nazioni pur belle. Se le avesse volute rimescolare tutte, e avesse creato un unico aggregato, avrebbe fatto qualcosa di opposto a quello che ha fatto creando la funzione "entropia". Non posso credere che il Signore dell'Universo sia privo di logica.
Dunque qualcuno crede di poter fare qualcosa che si opponga alla funzione "entropia" che guida il mondo "naturalmente" anche verso verso la biodiversità. Gufo diverso dalla civetta, dagli aironi, dalle cicogne, e così via: frutto di una mente distorta che prima crea la diversità e poi permette che la diversità si annulli? Cinesi diversi dai giapponesi e dagli arabi, magari diversi anche dai tedeschi, per poi permettere che se ne annulli l'identità? Non posso crederlo, è contro l'entropia.....
E se qualcuno eccepisce sulla diversa situazione economico-sociale di popoli diversi, cosa che ci spinge correttamente a far del bene, non produce giustificazione sufficiente per una globalizzazione che annulli la "specificità" in alimentazione. Se attraverso una mescola "globalizzatrice" di contenuti e modi si impedisce di fatto che altro popolo abbia una sua curva di crescita in assoluta autonomia di modi e contenuti come quella che ha caratterizzato i paesi oggi socialmente ed economicamente considerati più evoluti, non facciamo altro che crescere tutti insieme nello stesso tempo e degradare parallelamente nello stesso tempo. Anche questo è contro il principio del disordine "naturalmente" guidato dall'entropia in continuo incremento.. Credo quindi, in funzione del rispetto che ho per la chimica-fisica, che il crescere in tempi differenti per i diversi popoli della terra rispecchi un andamento più disordinato delle cose, ma più logicamente naturale. Perchè non capire che mentre la nostra curva di crescita ha quasi raggiunto un'apice (secondo qualcuno) un altra civiltà è agli albori e raggiungerà lo stato ottimale quando magari noi avremo raggiunto uno stadio di vecchiaia anche etica?
Bene, lo stesso dicasi per quanto attiene all'alimentazione che si può definire come "uno dei risultati conseguenti alla modifica del nostro stato sociale". Anche in alimentazione v'è di fatto una "biodiversità" fra Paesi diversi, che ben venga: ma perchè affrettare una mescola o imporre mode che sono contrarie ad un andamento "naturale" che predilige il disordine e quindi la biodiversità?
A me sembra che si stia facendo da parte di molti una crociata non a lieto fine, così come le crociate di felice memoria: si pretendeva di condurre allora un popolo diverso dal nostro sotto un'unica coltre religiosa di cui dicevamo d'essere gli unici portatori eletti alla verità. Con l'EXPO non facciamo neanche una crociata di conquista: permettiamo invece agli altri di utilizzare il nostro territorio come terra di conquista anche nel mondo alimentare. Ma qualcuno ci imbonisce affermando che abbiamo venduto tanti biglietti.....e il bilancio finale ce lo mostreranno o lo dovremo intravedere fra le righe di chi guida l'informazione, o piuttosto dovremo inventarcelo?
Mi ricordo della giostra su cui Pinocchio viaggiava felice prima di finire nelle mani di Mangiafuoco.......

Che c'entra Leonardo con EXPO?

Sfoglio le pagine del Corriere della Sera - Orizzonti Expo di cui ho trovato copia in omaggio sull'uscio di casa, oggi 1 Maggio 2015.
Alla pag. 13 mi imbatto in una foto di quello che viene presentato come "the last supper" di un'artista che (così è scritto) "reinterpreta in modo poetico e provocatorio l'icona leonardesca, mettendo in evidenza il ruolo della donna nella società attuale".
Ma questa ennesima fiera non era stata destinata a proiettare nel futuro, con il fine di incentivare l'innovazione, la posizione che nel settore alimentare è stata raggiunta dal nostro Paese nello spirito di una socialità di intenti e quindi nello spirito della utile conoscenza delle posizioni raggiunte dagli altri Paesi?
Così avevo capito alcuni anni fa dalle parole di una mia collega che fu invitata a tenere il discorso di chiusura di un mio convegno tecnico/scientifico su "shelf life e metodologie". Ho capito male o le finalità di questa esposizione sono ancora nebulose?
Vedendo dedicata metà pagina 13 del Corriere - Orizzonti Expo ad una bruttura, in senso artistico e ideologico, come quella di una "duplicazione" di un'idea leonardesca che aveva il compito di trasmettere drammaticamente vari aspetti del comportamento umano in un momento di tragica attesa della morte del Cristo, da tutti gli apostoli sottesa e in diverso modo vissuta,
non viene voglia se non di gridare "basta"! (Al mio paese dicesi "....Avast ! ")
Basta! non solo a chi, in mome di uno pseudo-sociale anelito all'imposizione di un femminismo esasperato, si permette di copiare, con travisazione sul "brutto", scene che Leonardo aveva dipinto mai pensando che in occasione di una fiera ci sarebbe stato qualcuno capace d'essere così povero di idee da interpretare "al femminile" L'ULTIMA CENA!
Ma basta... anche a chi divulga simili brutture, cui mi permetto di dedicare delle rime scritte ahimè non da me, ma da Alberto Cavaliere, chimico milanese autore de "la chimica in versi":
C'è chi illudendosi
crede davvero
forse che il fosforo
sia nel pensiero.
No, questa frottola
non vi confonda.
E' nello scheletro
che invece abbonda....

In crisi la produzione di cacao

Secondo Euromonitor, la domanda globale di cacao è cresciuta del 6,2 % nel 2014 (in totale 117 miliardi di dollari).
Addirittura in Cina la crescita di vendita dei derivati del cacao ha raggiunto le 192.500 tonnellate.
L'offerta di cacao, invece sarebbe in deficit di oltre 100 tonnellate l'anno dal 2013. La ragione?
Gli agricoltori in Costa d'Avorio e Ghana stanno convertendo le piantagioni in colture più remunerative (olio di palma, ad es.).
Entro il 2020, se non si ottimizzeranno le rese di produzione che oggi sono assestate in Ghana su 0,4 tonn per ettaro, si potrebbe giungere ad un deficit pari a circa un milione di tonnellate. La produttività è possibile teoricamente possa raggiungere 1,5 tonn.
Un particolare interessante: in Costa d'Avorio il salario giornaliero di un lavotatore terriero è di 50 cent di dollaro e di 84 cent in Ghana. Tali remunerazioni sono sotto il minimo del salario di povertà, che si assesta oggi su ca. 2 dollari/giorno.
Se si continuerà a non aiutare quei Paesi nello sviluppo "in loco" dovremo attenderci sempre altre ondate d'arrivo di poveri sventurati accompagnati da scafisti ricchi.

In tema di comportamento ”scientifico”: la Francia blocca le importazioni dalla Puglia infestata da Xilella
focacce di Altamura (Bari) alla trattosia Santa Chiara
In linea con una norma che non ho mai dubitato possa essere quella dominante nelle comunità realizzate fra ricchi e poveri o fra gente di educazione diversa, la Francia pare abbia adottato il principio di precauzione rifiutando l'importazione di specie vegetali originarie di Puglia. Se questo è vero, il provvedimento non dovrebbe meravigliarci: a livello di più ampia portata, anche la produzione di latte italiano "infastidiva" il mercato europeo già dagli albori di quella che ci avevano dato ad intendere fosse la nascita di una soluzione per la nostra "povertà", derivata di fatto da altra precedente nefasta "comunione" realizzata da quell'altrettanto illuso personaggio che alla mancanza di cultura sommava l'incapacità di capire quale fosse l'indole dei vicini di casa, più prossimi e meno prossimi. Il risultato fu, all'inizio dell'era della CECA e successive modificazioni ed aggiornamenti, quello di una politica mirata alla distruzione del nostro patrimonio produttivo "animale". Le mucche italiane erano già da allora "fastidiose" e bisognava abbaterle in nome di una programmazione che si è rivelata assolutamente "perdente", e naturalmente a nostro esclusivo danno.
Oggi è divenuta "fastidiosa" per i nostri vicini la produzione di Puglia, con il beneplacido (almeno fino ad oggi) di tutti quelli che si diceva fossero e che si dice siano con noi coordinati per un bene comune. La norma adottata sarebbe in armonia con il principio del poter mettere in atto, da parte di Paese della comunità, misure necessarie a prevenzione pur in attesa di decisione più allargata.
Siamo alle solite, si usa dire in gergo comune: ma quale danno scientificamente comprovato i nostri vicini di casa possono dimostrare essere incombente? Per attuare una tale misura precauzionale occorre pur disporre di un documentato dossier, firmato da qualcuno che se ne intenda e che non sia solo preposto politicamente alla formalizzazione del provvedimento: è intanto arguibile che su un documento del genere, più o meno scientificamente motivato, non sia entrata in merito la comunità scientifica italiana (che viaggia spesso per Bruxelles) o "comunitaria" , per chiedere che si argomenti in modo strettamente scientifico sulla reale inequivocabile necessità di attuare un provvedimento del genere. Intanto coloro che hanno emesso un provvedimento del genere, compromettendo comunque l'immagine di una regione "fastidiosa" per la potenziale creatività e produttività, a questo punto dovrebbero dimostrare di disporre di ogni competenza specifica sull'origine "vera" dell'insorgenza dell'infestazione che ora si è lamentata in Puglia. Coloro che si pongono in posizione di "alta competenza" spero che almeno non credano nella "generazione spontanea", e dovrebbero capire che il "morbo" o è oggi potenzialmente presente (anche se non ancora evidente) in varie zone d'Europa (Spagna, Portogallo, Tunisia, ecc.) o è strettamente localizzato, per ragioni climatiche-tassonomiche-fitopatologiche nella regione ora presa di mira (la Puglia).
Nel primo caso è ridicolo immaginare che il blocco di importazioni dalla Puglia sia soluzione preventiva utile: un tentativo di soluzione potrebbe solo essere quello di blocco delle importazioni delle specie vegetali "inquinabili" da ogni zona potenzialmente "inquinata" (comprese le Americhe e l'Africa).
Nel secondo caso la prevenzione non avrebbe ragione d'essere messa in atto con localizzazione alla provenienza Puglia, in quanto l'ipotetico untore potrebbe riscontrare il risultato delle sua malefatte soltanto in Puglia.
Aggiornamento del 25 aprile 2015: Leggo in settimana scorsa su "Fresh Plaza" che a Parigi è stata riscontrata per la prima volta la presenza di xilella fastidiosa su un vegetale, ma nulla a che vedere (pare) con importazioni da Puglia.
All'origine di ogni disquisizione che si voglia giudicare pertinente v'è una profonda inconsapevolezza scientifica: peraltro, v'è qualche documentazione che comprovi l'influenza dannosa dell'infestazione da "Xilella fastidiosa" sulle produzioni, al difuori di quella della problematica di produttività? Si spera soltanto che l'attenzione di tipo "preventivo" non venga giustificata da inconsistenti dubbi sulla sicurezza di consumo dei derivati.
In secondo luogo, sarebbe il caso di smetterla di parlare solo di "danni economici", cosi' come ho già detto in una nota pubblicata su questo stesso sito in data 2 dicembre 2014 in tema di Xilella fastidiosa ed in una mia precedente nota sullo stesso tema pubblicata su "Industrie Alimentari" nella rubrica "Scienza, Mercato, Opinioni". Si rischia che i compagni di comunità prendano posizione temendo l'esborso di soldi a copertura dei danni che noi subiamo per ragioni (almeno per la Xilella) ancora incognite. Queste sono situazioni in cui gli imprenditori dovrebbero pretendere difesa strenua da parte del personale attualmente viaggiante per Bruxelles, in primo luogo: in parallelo necessiterebbe l'adozione di una più consapevole coscienza scientifica, che possa impedire il passivo subire di definizioni stupide come quelle delle "zone rosse" o di differenziata variegatura.
Piuttosto che ipotizzare che gli studenti possano essere "occupati" per un numero maggiore di mesi in un anno, impedendo loro di pensare alla miseria in cui ci dibattiamo ed al loro incerto futuro, si pensi alla programmazione della ricerca scientifica da parte dei già esistenti "addetti ai lavori". Invece che sentenziare sulla "zona" da cui proibire l'importazione di specie vegetali, se veramente si vuole che sussista una comunità, ci si dia da fare tutti "scientificamente" per la identificazione delle vere cause e per la proposta di soluzioni che non facciano ridere. Si precettino, ad esempio, coloro che si definiscono addetti sceintifici ai lavori e si imponga loro la consegna di risultati documentati sulle sperimentazioni svolte, da divulgare (positive o negative che siano) sugli organi di stampa.
Sono trascorsi molti anni dalla prima pubblicazione de "I Promessi Sposi": i francesi probabilmente non ne conoscono, per loro sfortuna, il contenuto. Altrimenti avrebbero evitato di trattare il problema in modo diverso da quello descritto dal Manzoni a proposito della "peste" a Milano. Ma cosa cercano, di identificare l'untore?
In un qualcosa che si voglia considerare comunità ci sarebbe solo da rimboccarsi reciprocamente le maniche.

A proposito di ”riflessioni sull'eccellenza nella scienza”

Ricevo il n.168 di "Negri News", mensile dell'IRCCS - Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e leggo l'introduzione ad un testo redatto a firma di Silvio Garattini. Il testo dell'introduzione è il seguente:
"In campo scientifico va di moda qualificare con il termine persone o istrituzioni che hanno dato un contributo significativo alla ricerca scientifica. Il fatto è che c'è molta autoreferenzialità in questo poichè il giudizio è dato da pari e lo scambio di favori non è vietato. Come andrebbero le cose se il titolo di derivasse dall'esterno, cioè dalla società? Forse è il caso di pensare a nuovi criteri per stabilire, se è proprio necessario, come attribuire la qualifica in questione non tralasciando l'umiltà e sopratutto consapevoli di quanto poco in realtà sappiamo>.
In merito, penso che sulla opportunità di rivolgere tale critica al sistema non vi sia dubbio.
Che ci si sia accrocchiati tutti in modo tale da creare "capannelli" che si autoreferenziano non v'è proprio dubbio, ma che sia possibile cambiare il sistema invitando tutti a riflettere sulla limitatezza del nostro sapere ho qualche serio dubbio. Il creare "gruppi" che si autoreferenziano, infatti, non è altro se non la negazione di principio dell'umiltà e costituisce il mezzo attraverso il quale i "non umili" (e spesso nello stesso tempo poco dotati) riescono a superare il "gap" e superano di fatto gli altri. La targa di "eccellenza" non è altro se non la bandiera che può sottendere una concreta difficoltà di affermazione attraverso sistemi diversi.
Ma l'autoreferenzialità è il sistema ormai instauratosi dappertutto: vedasi quanto accade in tema di "pubblicazioni scientifiche": Il gioco a cui si assiste è quello della citazione, a proposito o anche a sproposito, del lavoro di un amico perchè amico, cosa che instaura una catena di "citazioni" che conduce ad un incremento abnorme di meriti per individui che (mi si perdoni la citazione) riescono a moltiplicare pane e pesci. Ma quello che produce reale "imbarazzo" è l'impossibilità di porvi argine.
Ritengo davvero che si viva in un'atmosfera in cui si crede, ad esempio, che l'apposizione di un "claim" sia risolutivo per il posizionamento di un alimento nell'immagine del mercato, e se così avviene dobbiamo renderci conto che la società che consuma non è poi tanto in grado di "selezionare" oggettivamente la qualità, proprio perchè soggiogabile da uno slogan o da qualcosa di simile. Con ciò non voglio se non deprimere l'illusione di chi crede che un giudizio derivato dalla "società" sia poi così libero da pregiudizi e garantisca l'attribuzione di "eccellenza" in modo più consapevole.
Forse i "nuovi criteri" che il redattore di quel testo desidererebbe si potessero ideare non esistono, e ritengo purtroppo che i citeri siano figli del tempo e delle circostanze. Non aveva l'immagine di "eccellente" non certo per autoreferenza il figlio di Dio fatto uomo quando nel giorno delle Palme viaggiava fra la folla osannante? Ma nonostante l'eccellenza votata dalla folla, l'uomo visse una sola settimana di gloria.
Viviamo un'epoca, caro Garattini, di ricerca spasmodica di sistemi attraverso i quali si debba necessariamente raggiungere la cima dell'Olimpo per poi credere di aver diritto di guardar gli altri dall'alto in basso. Si finisce in tal modo per guardar tutto da troppo lontano, pur se il "lontano" è la cima dell'Olimpo. Ma hai avuto modo di valutare quanto accade nell'affidare un lavoro sperimentale nelle mani di un "editor" che sceglie i "referee" credendo di dare ad intendere che la scelta dei referee stessi sia improntata a criteri di imparzialità? Si riesce addirittura a presentare il sistema dell'impact factor come a garanzia dei ricercatori, e d'altra parte per i referee si garantisce l'incognito, ciè l'anonimato, in parole di questo mondo. Ecco cosa accade quando si vogliono codificare "sistemi": si riesce sempre più a chiudere cerchi, ma che contengono sistematicamente gruppi di potere, non certo d'eccellenza. Altrimenti l'anonimato dei referee non sarebbe così strenuamente protetto.

Una conferenza su 'Cacao e cioccolato: sì e perchè'. Ma non solo.
Tancredi dà il battesimo a Clorinda morente ( Paolo Finoglio 1645 - Museo di Conversano)
Stufo di sentir raccontare stupidaggini a danno di cacao e cioccolato da nutrizionisti di mestiere, accetto di tenere un seminario informativo al Lions di Vercelli il 15 gennaio u.s., proprio in tema di cacao e cioccolato. Mi si chiede di chiarire una buona volta cosa ci sia di scientificamente corretto che ne giustifichi la demonizzazione che se ne fa.
Ringrazio la Presidenza del Lions di Vercelli per avermi dato l'incarico di parlarne e ringrazio tutto il Club per il clima di attenta disponibilità che i presenti all'incontro hanno saputo creare: raro è trovare in queste occasioni un gruppo nutrito di soci che sa vivere un incontro del genere in modo assolutamente professionale oltre che 'festoso e educatamente informale'.
Mi attivo in particolare per mettere in evidenza che il lavoro che sta alla base della trasformazione di cacao in cioccolato non è proprio cosi semplice come lo svilito epiteto di 'ciuculaté', affibbiato a chi poco sa fare, potrebbe lasciare intendere, spiego che trattasi di "arte e tecnologia" delle più avanzate e descrivo le tappe che portano dalla tecnologia di trasformazione delle fave di cacao all'arte della diversificazione. Spiego anche garbatamente che l'invenzione del gianduja non ha avuto origine se non dalla voglia di risparmiar cacao utilizzando il taglio con pasta di nocciole, pur se piemontesi. Scampato il pericolo della contestazione, dico che i grassi del cacao sono ipocolesterolemizzanti per il loro contenuto in esteri dell'acido oleico: colgo l'occasione per battere il mio solito tasto sull'opportunità di fare fritture impiegando olio d'oliva e non grassi per motori a scoppio o per lubrificazione come quelli derivati da semi. Scampo quest'altra occasione di possibile opposizione e passo a trasmettere le notizie di base sulla naturale ricchezza del cacao in flavonoidi, che con il loro potere antiossidante naturale convincono sull'opportunità di combattere i radicali liberi, proprio attraverso il consumo preferenziale della tipologia di "nero fondente" più che di cioccolato al latte, ed accenno anche alla ricchezza in ferro e magnesio. Non perdo l'occasione di fare vanto di possesso da parte del cioccolato di una serie di sostanze enfatizzanti dell'umore e mi sfugge di parlare di quanto il cacao possa contribuire a mitigare la tristezza generata dall'attuale congiuntura economica imperante. L'affermazione avrebbe fatto da giusto contrapposto a quanto affermato in inizio di chiacchierata, sul cacao come "cibo degli dei" anticamente accessibile solo alle classi privilegiate come sacerdoti e politici, anche attraverso cerimonie Maia svolte da sapienti stregoni. Se una volta potevano mangiar cioccolato le classi più abbienti, avrei dovuto dire, oggi faremmo bene a suggerirne e consentirne l'acquisto ai più poveri per consolazione, vista l'economia del momento. Un'intelligente domanda rivoltami da uno dei presenti mi consente di parlar bene della più famosa pasta spalmabile al cacao dell'epoca: bando alle chiacchiere, ma oggi c'è l'opportunità di incrementarne il consumo, visto come va l'umore.
Il lettore ha capito intanto che c'è dell'altro. A fine serata, una cara signora in veste di Presidente mi consegna un gagliardetto ed un dono: niente di più gradito, un libro! Ha titolo "Una Vita da Museo - Memorie 1876-1901" di Camillo Leone (Interlinea Ed. 2007, Novara).
<La pubblicazione (come riportato in sovracopertina) vuole essere un omaggio all'uomo che ha a sua volta tanto donato alla propria città e nello stesso tempo un servizio agli studiosi che desiderino accedere a questa fonte documentaria così importante della storia di Vercelli, del suo territorio e dell'intera nazione>. La pubblicazione di una parte delle memorie di Camillo Leone rappresenta, per la Fondazione Istituto di Belle Arti e Museo Leone di Vercelli, una risposta dovuta alle attese dell'autore che, con clausola testamentaria, stabiliva che tali memorie fossero date alle stampe, ma non prima di venticinque anni dalla sua dipartita, avvenuta il 23 gennaio 1907 (testo tratto dalla 'presentazione' di Amedeo Corio, presidente dell'Istituto di Belle Arti di Vercelli).
Apro il testo subito dopo averlo ricevuto in dono, mentre i Lionisti sciamano e s'abbracciano ripromettendosi d'incontrarsi ancora; casualmente il libro si lascia aprire alla pagina 385. Sono fortunato nel leggere, ad inizio della memoria del 13 dicembre 1893, la citazione di un paese di Puglia, cosa che mi incuriosice e convince a leggere ancora. Trattasi di Bitonto, paese che mi ricorda l'origine del mio più amato professore di greco e latino Angelo Cariello del liceo Quinto Orazio Flacco (Bari), docente onesto e colto.
Ecco cosa leggo nella memoria redatta da Camillo Leone nel 1893: < Dice il proverbio che il soverchio rompe il coperchio, e così è successo a Bitonto, in provincia di Bari, dove il Governo aveva mandato un agente di finanza, certo Curci, il quale, per volere troppo fiscaleggiare sulle tasse, ha talmente irritato quelle popolazioni che si ribellarono al punto da prenderlo, ungerlo di petrolio e bruciarlo vivo. Chi rompe paga, dice il proverbio e quei di Bitonto dovranno pagare anche questo sacrifizio umano, ma di chi la colpa? dello stesso Governo, dico io, il quale con la smania di portare mezzi fiscali allo estremo, finirà per raccogliere tempeste, ire e sollevamenti in tutta la penisola.......>.Ed ancora, continuando: < Mi raccontava oggi stesso uno dei nostri Giudici del Tribunale, a quali estremi spinge il fiscaleggiare il nostro Governo per ispremere denaro....Io, mi diceva, ho due ragazze le quali vanno a scuola, ebbene il R.Governo non le accetta a scuola se non presentano la fedina penale, la quale fedina penale bisogna richiederla su foglio in carta a bollo e deve essere corredata dalla fede di battesimo, parimenti su carta a bollo filigranata, e tutto questo sa perchè? Per poter spremere dalla tasche dei parenti centesimi 60 per la prima, per la seconda .........>.

Lettera di NATALE indirizzata a tutti, uomini e donne, di bona volontà

non tutti sanno cosa significa Natale
............ indirizzata, come primo destinatario, a CHI mi permette di godere del bene della vita, cioè a quell’essere veramente superiore che ha diritto di gestire le sorti dell’universo ed anche mie. Rivolgo tuttavia mite consiglio ai "conduttori" della vita terrena degli Europei perché non si illudano che questo essere si possa identificare con uno di loro.
............scritta ed inviata, per conoscenza, a quanti non hanno voglia di dire quello che pensano o non hanno mezzi per farsi ascoltare ed anche a chi sa scrivere più di me e avrebbe mezzi per farsi ascoltare ma non verrebbe comunque ascoltato.
............ vuole essere un umile messaggio di fede, speranza e carità, insieme di virtù che durante la frequenza di un Oratorio di un paese del Sud mi insegnarono essere appannaggio cristiano fruibile da tutti, da ognuno a suo modo.
Il messaggio di speranza è quello che porgo perché tutti considerino che nel breve tempo in cui viviamo si debba privilegiare:
1) Il rispetto per i bimbi, che ci dovranno sostituire negli affetti e nel lavoro (possibilmente non consentendo l'uso del cellulare che abbiamo dato loro al posto dell'affetto).
2) Il rispetto per il danaro altrui, perché si presume che sia strato guadagnato.
3) Il rispetto per le idee degli altri, senza che questo significhi sottostare senza far critica.
4) Il rispetto per il territorio che ci ospita, dell’Italia in primis ed del Globo in seconda battuta.
5) Il rispetto per gli anziani, che comunque hanno permesso che ci sia un oggi, pur senza poterci garantire un domani migliore.
Il messaggio di fede lo rivolgo affinchè:
a) Gli uomini continuino o riprendano ad amare non solo le donne ed il denaro ma anche le arti vere (escluse quelle marziali), lo studio ed il lavoro, rimuovendo dalla vita la televisione della violenza, dei patetici incontri inaspettati, dei pacchi, delle parolacce, della cronaca nera gratuita, degli incontenibili incontri preparati fra individui che fingono di litigare per il nostro bene.
b) Si riprenda a scrivere con le mani e con la testa e non solo con i piedi o con il computer, che diseduca dall'esercizio della memoria e del confronto e dalla opportunità di pensare prima di rispondere, imponendo tra l'altro la risposta mail purchè immediata, anche se sgrammaticata.
c) Si privilegi nello studio e nell’espressione la lingua nazionale e non quell' idioma che, in nome di una più larga apertura alla comunicazione, ci ha fatto dimenticare cosa siano le declinazioni e le coniugazioni a vantaggio di aspirazioni in testa e coda e biascichi inconsulti con consonanti terminali; il più semplice intervento correttore che suggerisco può consistere nello spostare in giù il Vallo Adriano, circa in corrispondenza del 47° parallelo N.
d) Il denaro pubblico sia considerato veramente di tutti e non vada a privilegiare solo i pochi, e quasi sempre gli stessi.
e) I treni del centro europa non usino l’aria condizionata in inverno per dar da bere agli altri che noi non sappiamo risparmiare e loro invece sì.
Ma questa lettera contiene anche messaggi di carità e di perdono, che seguono:
A) Perdoniamo chi ci condusse a suo tempo alla CECA e chi ci conduce oggi al galoppo verso l'incognito. Perdoniamo anche quel bontempone che ha cancellato la Lira, confondendola con uno strumento musicale troppo antico per un'Italia moderna, e distruggendo quindi solo per ignoranza il significato di quell'unità conquistata pochi anni prima, solo nel 1860.
B) Perdoniamo tutti coloro che per il bene nostro dedicano il loro tempo a discutere sulla legge Merlin. Prego a questo fine che CHI PUO' scenda in terra, come ha fatto benevolmente altra volta, a dar lumi sulla impossibilità di soluzione della congiuntura economica attraverso la riattivazione di quell'organizzazione di vendita con istituzione delle relative imposte, a meno che il significato dell'operazione di riattivazione non sia quello di indicarci come unica soluzione della congiuntura quella di darla/darlo via.
C) Perdoniamo le donne difficili purché siano realmente convinte d'essere le uniche a detenere qualcosa di essenziale, ma perdoniamo anche in generale coloro che credono di essere gli unici (o le uniche) a detenere potere e cervello, purché siano almeno convinti/e di sapere usare le due cose insieme.
C) Perdoniamo, infine, quegli invidiosi (!) che volendo emulare altri popoli di tradizione diversa dalla nostra e mostrando predilezione per opere pubbliche di largo respiro, come i grandi parcheggi, hanno profuso ogni sforzo per ridurre le lauree quinquennali a triennali corsi di avviamento all’apprendistato, istituendo addirittura sconti 3 + 2 e aprendo quindi la strada, attraverso una sempre maggiore tolleranza, verso ....una felice e gioiosa illusione condita di inconsapevolezza.
Ciò che è veramente essenziale ed utile è solo l'AUGURIO DI BUON NATALE !!!!!!!!
Qualcuno certamente scenderà ancora una volta dal Cielo e dalle Stelle (inimmaginabile che venga ormai dalla Terra) ad indicarci la giusta via per ricreare un mondo ove non esistano vincitori e vinti, votanti e votati, poveri e ricchi, vecchi e giovani, professori ed alunni, sani ed infermi, non dico "donne e uomini" perchè per le mie tradizioni sarebbe sconveniente..................variante ispirata al magnifico discorso di Charlot in "Il Grande Dittatore".

”Xilella fastidiosa” e olivi del Salento
si bruciano in campo i rami secchi colpiti da Xilella
"Xilella fastidiosa" è la denominazione di un batterio differenziato in quattro varianti genetiche fino ad oggi conosciute, che attaccano specifici ospiti del mondo vegetale. Gli effetti tipici prodotti sugli olivi sono quelli del disseccamento fogliare (parti apicali e marginali della lamina), della chioma (rami isolati o intere branche), e anche dell'intera pianta. Da piante diverse dall'olivo, che possono anche non presentare sintomi di deperimento, gli insetti possono nutrirsi veicolando il batterio a piante di olivo nel corso del loro vagare nei campi. L'infezione viene trasmessa allo xilema, sistema che svolge attività di trasporto della "linfa xilematica" (soluzione di sali minerali) dalle radici verso la parte alta della pianta.
Nell'autunno 2013 si dice sia comparsa la "peste" dell'olivo, causata appunto da infestazione da Xilella, sugli olivi del Salento. Ma da frequentatore della zona, chi scrive ricorda di aver assistito alla comparsa di ingiustificato (!) essiccamento fogliare già prima del 2013.
Questa "moria" dell'olivo rischia di compromettere il patrimonio più tradizionale della zona, ricca di alberi secolari che non trovano simili in altre regioni d'Italia, ma non sembra che questo interessi molto a tanti "sperimentatori" del settore: ciò visto che si sente parlare piuttosto di interventi economici che sarebbero stati richiesti alla UE per i danni indiscutibilmente grandi che stanno derivando al territorio.
Sarebbe il caso di evitare di elemosinare interventi economici per i "danneggiati" e piuttosto incentivare la ricerca, magari coordinandola in modo che tutti gli interessati al problema impediscano un "flop" scientifico.
In una zona eletta come sperimentale dallo scrivente si stanno svolgendo sperimentazioni su campo dirette a limitare il danno ed impedire il diffondersi della Xilella. Ciò non solo eliminando le parti secche che devono essere "bruciate" solo sul campo, evitandone il trasporto in altre zone ed evitandone l'utilizzo come fonte di energia. L'impiego di appropriati estratti di natura vegetale (estrattti da spezie) , supportati su rame solfato, sembra possa interferire con la moltiplicazione della Xilella: prime valutazioni lascerebbero pensare alla possibilità di arrestare una diffusione massiccia del male, ma occorre attendere per dedurre vere e proprie conclusioni. Sembra intanto che una massiccia integrazione minerale su terreno contribuisca a limitare sensibilmente il diffondersi della Xilella. Tale sperimentazione volontaria attuata dallo scrivente proseguirà ancora, con rilievi puntuali utili alla comparazione nel tempo dello stato di una serie di piante di dimensione ed età differenziata. Qualcosa di utile........piuttosto che piangere ed accattonare su un mercato che dicesi comune ma a cui l'olio di oliva non ha mai prodotto vero interesse.

Seminar in Banchette (Ivrea-To) - 'Advances in food quality - Isotope Analysis'
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In data 9 ottobre 2014 si terrà al Castello di Banchette (Ivrea - To) un seminario su 'Advances in Food Quality - Isotope Analysis' organizzato dai Laboratori di Ricerche Analitiche e Tecnologiche sugli Alimenti - Università degli Studi di Milano, in collaborazione con i Laboratori Floramo Corp. (Carleveri - Cn).
Il seminario intende offrire un'ampia panoramica sulle applicazioni dell'analisi isotopica, destinata alla valutazione della qualità di alimenti ed aromi.
Verrannoi esposti i risultati di ricerche innovative e di tecniche consolidate sull'analisi isotopica per la qualificazione di materie prime/ prodotti finiti : l'informazione è diretta ai responsabili del controllo di qualità dell'industria del food ed ai laboratori istituzionali.
Il seminario è aperto ai ricercatori che intendono esporre risultati/tecniche applicative su analisi isotopiche in tema di alimenti ed aromi.
Comitato Organizzatore:
Prof.Fernando Tateo (UniMi)
Prof.Monica Bononi (UniMi)
Dott. Giancarlo Quaglia (Floramo Corp.)
Indirizzi per informazioni su partecipazione e presentazione di note:
fernando.tateo@unimi.it
monica.bononi@unimi.it
staff@floramo.it
tel. +39.348.7155835
fax +39.02.50316539

Sulla possibile sofisticazione di zafferano con polvere da frutto di gardenia (Gardenia brighamii)

Tracciati HPLC crocine: zafferano (destra), gardenia (sinistra)
L'addizione di polveri derivate da frutto di gardenia si presenta come uno fra i possibili interventi destinati alla sofisticazione dello zafferano in polvere. L'identificazione di materiale vegetale da gardenia risulta complessa in virtù delle pratiche svolte dal sofisticatore affinchè la polvere stessa assuma una struttura pseudo-cristallina ben mimetizzabile nella massa polverosa di zafferano. La similitudine tra le strutture microscopiche delle due tipologie di polvere viene messa in evidenza nelle immagini prodotte per stereomicroscopia e riportate nella figura in basso.
Le ricerche svolte nel settore "spezie" dei Laboratori di Ricerche Analitiche sugli Alimenti (Università degli Studi di Milano) con la direzione scientifica del prof. Fernando Tateo sono mirate alla realizzazione di protocolli di controllo per l'identificazione di sofisticazione in questa ed in altre spezie.
In primo luogo, l'analisi cromatografica HPLC-DAD consente di differenziare i pigmenti naturali (crocine) presenti nelle due tipologie di matrice. Questi pigmenti organici naturali sono responsabili del conferimento del caratteristico colore giallo/arancio alle preparazioni alimentari in cui lo zafferano trova impiego.
La quantità totale delle crocine risulta sensibilmente maggiore nello zafferano, come è possibile rilevare dal confronto dei due tracciati riportati nella figura accanto.
Il rapporto quantitativo tra le crocine più rappresentate varia sensibilmente per le due tipologie di vegetale: nello zafferano, ad es. il rapporto fra Trans-c4 e Trans-c-3 si colloca nell'intorno di R = 2,7, mentre nella gardenia lo stesso rapporto assume valori dell'ordine di R= 8,3.
Il rapporto quantitativo fra le crocine Trans-c3 e Cis-c4 nello zafferano è dell'ordine di R= 1,42 mentre nella gardenia lo stesso rapporto assume valori dell'ordine di 0,35.
Come è immediato rilevare, trattasi di situazione abbastanza particolare dal punto di vista della identità qualitativa di queste crocine nello zafferano e nella gardenia, con differenziazione solo di tipo "quantitativo" (vedi rapporti citati sopra).
Inoltre, la valutazione dell'intensità del rosso e del giallo delle due matrici rivela una sostanziale differenza nelle due matrici, se si adotta il metodo CIE adattato con un mirato protocollo (componente a del "rosso", componente b del "giallo".
Quanto riportato in sintesi in questa nota è solo un flash su alcuni criteri di base che guidano la messa a punto di metodi analitici atti al rilevamento di questa particolare sofisticazione. Varie altre operazioni analitiche, ancor più sofisticate, sono dedicate alla identificazione di altre irregolarità di composizione di questa e di altre spezie.

allo stereomicroscopio: zafferano (sinistra), gardenia (destra)
Mangeremo anche le bucce di mela

Non è uno scherzo e non ci si riferisce all'attuale situazione economica, anche se i nostri regnanti ci stanno pensando......
Uno studio complesso condotto con tecniche analitiche avanzate è stato svolto dal gruppo di lavoro del Prof. Fernando Tateo, mirato ad evidenziare le caratteristiche antiossidanti di una serie di cultivar di mela (Malus domestica Borkh) prodotte in campi sperimentali di Aziende Agrarie gestite dall’Università degli Studi di Milano.
La ricerca è stata svolta per confrontare il contenuto di flavonoli (quercitin coniugati) di 24 cultivar, sulla scorta di studi epidemiologici svolti da altri Autori che dimostrano i benefici effetti di alte dosi di flavonoidi nella prevenzione di patologie cardiovascolari. Gli effetti delle quercitine sono dovute all’attività “radical scavenger” dimostrate da vari lavori fra cui si citano i seguenti:
- Manach C, Morand C, Crespy V, Demigne C, Texier O, Regerat F, Remesy C: Quercetin is recovered in human plasma as conjugated derivatives which retain antioxidant properties. FEBS Lett 998;426: 331-336.
- Middleton E, Kandaswami C: The Impact of Plant Flavonoids on Mammalian Biology: Implications for mmunity, Inflammation and Cancer. London: Chapman & Hall, 1993.
I glucosidi della quercitina sono presenti sia nella polpa di mela che nella buccia, Ma un glycoside della cianidina, il cianydin-3-galactoside, è presente solo nella buccia ed è responsabile tra l’altro della colorazione rossa. Tale glicoside della cianidina è stato dimostrato potersi considerare utile nella prevenzione e nel trattamento di “diabete mellitus”. Uno dei riferimenti ai lavori che sono stati svolti in tal senso è il seguente:
- Sarinya Akkarachiyasit, Piyawan Charoenlertkul, Sirintorn Yibchok-anun and Sirichai Adisakwattana, Inhibitory Activities of Cyanidin and Its Glycosides and Synergistic Effect with Acarbose against Intestinal α-Glucosidase and Pancreatic α-Amylase, J. Mol. Sci. 2010, 11, 3387-3396.
Cianidina e suoi glicosidi sarebbero specifici inibitori della saccarasi (invertasi), maltasi (alfa-glocosidasi), e alfa-amilasi pancreatica.
Ricerche sono attualmente svolte dal Prof.Fernando Tateo e coll. in tema di produzione di “derivati” da buccia di mela per la produzione di coadiuvanti utili in “diabete mellitus”.

Disfattista no, realista sì. Avremo il coraggio di presentare all'expo anche i nostri clochard?

Plagi di Arcimbolidi a piazza San Babila
Si è giunti pensare che sia 'inevitabile' assistere a comportamenti anomali di ordine sociale ed economico in occasione di grandi eventi: gli stadi ad esempio offrono con i così detti 'derby' l'occasione per liti non sempre a lieto fine, e lo stesso acquisto di un biglietto per lo stadio, nella foga del desiderio, per individui appartenenti a ceti sociali non felici, crea dissesti che noi non riusciamo neanche ad immaginare. C'è gente che acquista il biglietto ma il giorno dopo non è in grado di dare 100 Euro a moglie e figli per l'acquisto dello stretto necessario per vivere.
In tema di avvenimenti relazionabili a"food" e gestione del food ad alto livello (vista la grande festa dell'Expo!) le cose non cambiano. Mentre in tarda serata assisto alla 'pesca' di residui di alimenti e bevande dai cassonetti dei rifiuti da parte di anziani e giovani persi, durante una passeggiata serale in piazza San Babila (centro di Milano, per chi non lo sappia), vengo attratto da due monumenti del cattivo gusto che pretenderebbero costituire richiamo all'Expo 2015. Quindi siamo proprio in tema di food, ad alto livello, come si vorrebbe lasciar intendere alla gente comune, perchè la gente non comune non va certo a guardare quegli sgorbi, entra invece nei negozi e compera quel che vuole.
Intanto chiediamoci se proprio è necessario offrire al visitatore di quella piazza la vista di quei due figuri della cui immagine facciamo dono in foto qui a sinistra. Quella piazza è già bella di per se, attraente per negozi d'alto bordo, con la sua chiesa, i portici, i bar, porta d'accesso a strade di altrettanto bella immagine. Cercando una giustificazione del perché, leggo sulla base la scritta che un'incauto si è pregiato di redigere:
< Un'installazione ideata dallo scenografo Dante Ferretti. I frutti della terra e gli elementi di base dell'alimentazione interpretati nella loro trasposizione fisica e reale di una figura umana. I guardiani del cibo e dei frutti dell'agricoltura divengono i testimoni dell'alimentazione che incontreranno i visitatori nell'esposizione Universale di Expo Milano 2015 >
Intanto verifico che c'è chi, invece di destinare quattro soldi a sfamare coloro che dormono per terra nelle immediate vicinanze, permette che si sperperino quattrini per installare quelle figure che non hanno nulla di nuovo né dal punto di vista artistico né dal punto di vista marketing. Uomo e donna che si integrano con carota, frutta e quant'altro sono "brutta copia" e oggetto di plagio di opere di Giuseppe Arcimboldi, artista nato a Milano nel 1527, che visse a Milano nel suo primo periodo d'arte e che per primo integrò "nature morte" con visi umani. Ma l'Arcimboldi non aveva travalicato le soglie del buon gusto con padelle e torte in testa ai suoi personaggi, e nessun critico si è mai permesso di interpretare il perchè delle sue opere presentando "......frutti della terra nella loro trasposizione fisica e reale di una figura umana". Solo perchè queste parole in italiano non significano nulla, come non vuol dire nulla di nulla il riferimento ai "guardiani del cibo che divengono i testimoni dell'alimentazione". E chi sarebbero questi "guardiani del cibo"? quelle due brutte figure che incontreranno i visitatori..... ma è una minaccia?
Peraltro, dal punto di vista "marketing" si tratta di un errore pazzesco, per dirla alla Fantozzi: se l'innovazione in "food" dovesse trovar riscontro in quei "guardiani del cibo", abbiamo di che ben vendere in tema di novità e di buon gusto!
Ma, atteso che sia ormai chiaro che quelle "creazioni" costituiscono spese inutili perchè nulla aggiungono al bello della piazza in questione, chiarito che chi ha fatto quell'invenzione ha malamente copiato l'idea, che chi ha scritto quella presentazione cerca di vendere con parole scomposte un significato che non esiste in tema di "elementi di base dell'alimentazione" (a meno che non li confonda con padelle e torte), ci chiediamo se l'artista (o il suo mecenate) avessero proprio bisogno dell'obolo a loro riconosciuto più di quanto ne avessero bisogno tutti quei poveri miserabili che vivono giorno e notte nei ridossi di strade centrali e periferiche di Milano.

Un prodotto dolciario tipico portoghese
il 'pao de lò' in tavola
"Pão de Ló" cos'è?
E' un prodotto da forno della più antica tradizione portoghese, tuttora considerato come un tipico alimento che rievocando le tradizioni del passato è presente ancora oggi sulla buona tavola nelle occasioni migliori. Ingredienti: uova, zucchero e farina.
Oggi si distribuisce agli amatori lo stesso prodotto in una elegante confezione ed ha nome " Pão de Ló de Margaride".
Freguesia de Margaride già dal 1258 era denominata comunemente "vila de Margaride", nel distretto di Porto. La denominazione di questo piccolo centro fu poi mutata in "Vila de Felgueiras" per volontà e decreto di Donna Maria II, nel marzo del 1846.
Proprio in questa cittadina denominata Felgueiras, si fabbrica oggi il " Pão de Ló de Margaride", detto così in memoria dell'antico nome che identificava la cittadina "vila de Margaride".
Il nome di chi fabbricò questo prodotto per la prima volta è quello di Chiara Maria, ma non v'è segno del suo cognome. Dopo una serie di vicissitudini familiari, la proprietà dell'invenzione passò a Leonora Rosa da Silva, che morì nel 1898 e poi a Joaquim Luiz da Silva, che morì nel 1909. Attualmente la proprietà della formulazione e della produzione è di Josè Maria Lickford da Silva.
. Nel 1905 la Direzione Generale dell'Industria e Commercio denominò la casa produttrice come "fornitrice della Real Casa" di Portogallo, consentendo l'apposizione delle insegne reali sulla confezione.
Non è ancora chiaro cosa voglia dire "Pão de Ló" : un dizionario di Frei Domingos del 1873 riporta per " Ló" il significato di "tela sottile e rara". Forse la denominazione richiama la struttura del prodotto, che è quella di un pandolce che appunto presenta struttura reticolare, con alveolatura molto fitta.

Pane ”gluten free” : il segreto sta nella ricerca

Produzione sperimentale pane ”gluten free”
Così come per i prodotti da forno in genere, la ricerca sul pane e quindi su formulazioni atte alla sua produzione “gluten-free” riveste un interesse sempre più attuale.
La struttura che si richiede da parte del consumatore è tale da spingere i ricercatori all’impiego di materie prime sempre più adeguate a produrre pane che abbia le fondamentali caratteristiche: si richiede prodotto “croccante” e con alveolatura adeguata alle differenziate “tipologie” di forme.
Ciò che rende complessa la ricerca nell’innovazione è la necessità/opportunità di presentare etichetta “pulita”, cioè non riportante dichiarazione di utilizzo di emulsionanti, stabilizzanti, ecc.
Per ottenere ciò non si deve ovviamente ricorrere a dichiarazioni mendaci (sarebbe troppo semplice!) ma si devono adottare accoppiamenti fra materie prime che consentano di ottenere mix di ingredienti naturali che possano consentire di simulare la presenza del glutine, senza assolutamente utilizzarne.
Non è facile produrre pane “gluten-free” come quello messo a punto dopo le lunghe esperienze svolte da F.Tateo e coll. e di cui si da immagine nella foto a sinistra.
Nella foto in basso compare il prodotto "focaccia" senza glutine, con caratteristiche di tradizione pugliese, medio-alta, soffice, con alveolatura decisa.

focaccia gluen free in ”laboratorio prove”
Cioccolato, caffeina e vaniglia

Caffeina e Teobromina sono alcaloidi notoriamente contenuti in alimenti detti “nervini”: il cacao ne contiene ed ovviamente anche tutti i derivati, come la cioccolata in barrette, gli snack al cioccolato e quant’altro faccia richiamo al cacao.
Noto è anche che si senta da parte di molti un vero e proprio “richiamo” al consumo di cioccolato o di suoi derivati più o meno farciti. Molti sostengono anche che al consumo di cioccolato e derivati faccia riscontro una situazione, breve o meno breve, di benessere. Derivato dociario fra i più graditi ai bambini, colpito spesse volte dal veto di nutrizionisti che hanno più volte espresso il “fa male…” ancora non si sa a che, la cioccolata continua a troneggiare come prodotto di largo consumo proprio perché su di esso permane un alone di qualcosa di “proibito”. C’è anche chi ne fa uso continuo sostenendo un effetto generalmente benefico sulla “volontà di fare”.
Chi scrive non demonizza assolutamente il cacao ed i suoi derivati, essendone un consumatore più che assiduo: il richiamo ai danni che qualche bontempone fa, per fingersi esperto, menzionando genericamente l’effetto negativo sulle funzioni epatiche, non sortisce alcun effetto. Il maldicente pensi piuttosto ai mozzarelloni (!) usati per produrre un bene indebitamente strapagato e nutrizionalmente inutile quale è la pizza!
Ma ancora a proposito di caffeina, rendiamo noto al lettore che lo scrivente intende svolgere (è già in corso) una ricerca sperimentale sul contenuto di caffeina in una serie di prodotti del commercio, dandone nota in questo sito.Per nota opportuna, diciamo che il mercato del cioccolato in Europa occidentale ha raggiunto nel 2012 un valore di ca. 22 miliardi di euro, e che la Germania ha coperto il 24% dei consumi con 4,6 miliardi di euro, mentre Francia e Regno Unito detengono quote del 20% del mercato con un valore di 3,5 miliardi ciascuno.
Il mercato italiano è di ca. 1,6 miliardi e quello spagnolo non raggiunge i 700 milioni di euro (anno 2012).
Nel mercato USA le vendite di prodotti dolciari al cioccolato hanno raggiunto circa 13 miliardi di dollari.
Il tono "vaniglia" è giudicato pressocchè indispensabile nei prodotti al cioccolato: l'aromatizzazione prevede quindi l'impiego sia di estratti di bacche di vaniglia, sia di estratti "composti" che contengono altri aromatizzanti complementari, sia la semplice "vanillina" (composto natural-identico se derivato da sintesi) sia l'etilvanillina (composto da definire "artificiale", perchè non trova corrispettivo in natura). Non è raro il caso in cui gli estratti di vaniglia vengano utilizzati insieme a "vanillina". L'attuale Normativa CEE definisce la dizione con cui debbano essere indicati in etichetta gli aromatizzanti, in modo differenziato a seconda della natura dell'aroma presente. Opportune determinazioni analitiche consentono di differenziare e identificare gli aromi utilizzati: la metodica più comune è oggi quella che fa riferimento alla valutazione degli isotopi del Carbonio nella molecola della vanillina, da sintesi o di origine naturale.
Nella foto che segue si mostra il sistema analitico IRMS atto alla misura del rapporto 13C/12C per la identificazione della vanillina natural-identica negli alimenti (in foto: F.Tateo, G.Quaglia)

Sapienza del blend

Fernando Tateo e Piero Tateo danno origine ad un progetto di produzione di “olio pugliese” definito “sapienza del blend”.
Con l’impiego di olive di varietà definite e prodotte in zone controllate di Puglia in cui si garantisce l’assoluto non uso di fitofarmaci, si mettono a punto alcuni blend a marcata caratterizzazione, su cui viene svolto uno studio analitico modernamente coordinato dei parametri chimico-fisici relativi alla sicurezza e dei profili caratterizzanti della frazione aromatica.
Il fine da perseguire è quello della stretta definizione dei caratteri che possono spettare a blend costruiti attraverso una rigorosa selezione e costanza nella molitura in definite proporzioni di varietà fra le più prestigiose dal punto di vista dei caratteri chimico-fisici e della tradizione. La costanza dei profili d’impatto è finalità fondamentale del progetto già in atto.
L’impiego dei più moderni processi analitici di controllo costituisce punto di forza di questo progetto: lo studio analitico degli aromi naturali caratteristici dei blend si ritiene essenziale per la “riproducibilità” dei caratteri del prodotto finito. La documentazione della filiera di produzione è necessario corollario per il successo dell’attività.
